il gigante di Seattle impone etichette di sostenibilità

Amazon diventa “giudice” della moda green

5 Ott 2020
Editoriali Companies & CSR Commenta Invia ad un amico
Il gruppo americano ha annunciato la pubblicazione del Climate Pledge Friendly, un contrassegno che indica come il prodotto abbia una o più tra 19 certificazioni di sostenibilità. In tal modo, per i brand inizia la fase del giudizio pubblico davanti ai consumatori

Mercoledì 23 settembre è una data che potrebbe cambiare la sostenibilità al consumo. In quella data, Amazon ha iniziato a pubblicare sul proprio sito l’etichetta Climate Pledge Friendly, un contrassegno verde con il disegno di una clessidra alata, con il quale il gruppo di Seattle impone un’accelerazione sostenibile a una serie di settori. L’etichetta riguarda 25.000 prodotti e indica a chi fa shopping che tali prodotti hanno una o più delle 19 diverse certificazioni di sostenibilità (emesse da organismi terzi) che Amazon ha individuato come autorevoli indicatori. I comparti coinvolti sono diversi, inclusi alimentari, casalinghi ed elettronica. Ma ciò che ha colpito è l’etichettatura dei prodotti di moda, settore tra i più “potenti”, in termini di diffusione, e, probabilmente, tra i più in ritardo e più in difficoltà nel ridisegnare se stessi in chiave Esg.

 

INTERMEDIARIO DEL SISTEMA

A prescindere da come tecnicamente funziona e funzionerà la valutazione (sul sito si legge, per esempio, che saranno aggiunte ulteriori certificazioni), la mossa di Amazon è rilevante a livello di sistema. Rilevante perché a metterla in pratica è un “intermediario” lungo la catena produttiva, cioè è il filtro finale verso i consumatori dei prodotti. Inoltre, perché si parla del maggiore “intermediario” della storia del commercio. Di fatto, Amazon rappresenta il mercato di oggi. Infine, è significativo perché, nel corso degli ultimi tre anni, Amazon ha cercato in diversi modi di imporsi (anche) come piattaforma di moda e lusso. Con il lancio di decine di brand di proprietà (private label). La vera consacrazione, tuttavia, non è mai arrivata dal mondo della moda che, spesso, ha proclamato il proprio distacco basandosi sulla questione della troppa libertà di contraffazione sul gigante online. Con questa mossa, Amazon si pone a giudice di un sistema che non lo ha accettato. Per di più, si pone a giudice su temi di sostenibilità, trasformandosi da competitor screditato, in certificatore della credibilità altrui.

LA RIVOLUZIONE NEI FONDI DI INVESTIMENTO

In termini di valenza di sistema, ricorda in un certo senso quanto avvenuto nel 2015, quando Morningstar annunciò la pubblicazione di indicatori del livello Esg dei fondi di investimento, utilizzando le metriche di Sustainalytics. Le valutazioni esistevano già. Ma la prospettiva che si iniziasse a giudicarli pubblicamente metteva i gestori dei fondi con le spalle al muro: se il prodotto aveva un cattivo giudizio, diventava comunque una motivazione indigesta sia per le buone performance (ottenute a dispetto alla sostenibilità) sia per le cattive performance (causate dal poco rispetto per la sostenibilità). Non ci furono reazioni o proclami da parte dei player finanziari. Ma la cosa, raccontò un dietro-le-quinte del Financial Times, tolse da subito il sonno alla City.

GAME CHANGER

Amazon, che ha dimensioni di leadership assai superiori a quelle che aveva Morningstar nel mercato finanziario nel 2015, oggi diventa il game changer per i brand della moda. I quali sono impegnati su ogni fronte nel cercare credenziali alla propria sostenibilità, a cominciare proprio dal mercato dei capitali (si veda il caso di Chanel, il cui debutto nell’emissioni di titoli è avvenuto con un green bond). Con operazione che spesso puntano a ottenere etichette da spendere poi come immagine.

La prospettiva aperta da Amazon, però, è quella che i brand, come i fondi di investimento, siano costretti a misurarsi direttamente sul mercato. Anzi, a essere misurati dal mercato. Come ha scritto sul proprio sito il gigante di Seattle quel mercoledì 23 settembre: «This is just the beginning».

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