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Cdp: «Lavoriamo per il bilancio integrato»

9 Set 2020
Interviste Companies & CSR Commenta Invia ad un amico
Cassa depositi e prestiti ha intrapreso l'integrazione Esg nella governance con l’idea che tutte le aree aziendali debbano essere interessate dal processo. Dopo l'adozione di un framework integrato, ora lo step è l'evoluzione della rendicontazione

Da motore di sviluppo del Paese a motore di sviluppo sostenibile. Partendo da questo dna, Cassa Depositi e Prestiti (Cdp) ha intrapreso un processo di integrazione della sostenibilità nella governance con l’idea che tutte le aree aziendali debbano essere interessate dal processo. Lo spiega in questa intervista a ETicaNews Gaia Ghirardi, responsabile dell’area sostenibilità da febbraio 2020. Elementi del processo di integrazione sono la presenza in azienda degli ambiasciatori della sostenibilità, l’approvazione di un framework di sostenibilità e il primo report di sostenibilità. Il prossimo traguardo è il report integrato.

Cdp ha intrapreso un ampio percorso sulla sostenibilità. Quali le scelte e le esigenze di governance che avete o state adottando per il presidio degli Esg?

La struttura di sostenibilità, recentemente creata, nasce come perno di un sistema integrato che coinvolge e coordina tutte le anime aziendali, anche attraverso la presenza in azienda di oltre 100 ambasciatori di sostenibilità. Abbiamo approvato un framework di sostenibilità, pubblicato a fine giugno sul nostro sito, che disciplina cosa significa sostenibilità per ogni area aziendale (dalle risorse umane, agli acquisti, albusiness, etc..), in modo che possa essere interiorizzata all’interno dei processi organizzativi. Questo framework, o policy, identifica anche come vengono individuati gli obiettivi di sostenibilità, determinati attraverso un duplice processo: top down, partendo dall’agenda 2030 delle Nazioni Unite; bottom up, tenendo conto delle legittime richieste e dei temi materiali degli stakeholder. Infine, viene disciplinato cosa significa monitorare e rendicontare la sostenibilità e come il team di sostenibilità debba  cooperare con tutte le aree aziendali.

Che cosa caratterizza il vostro approccio e la vostra policy?

Ogni azienda si è dotata di politiche di sostenibilità e ognuna l’ha interpretata in base alle sue peculiarità. Noi arriviamo a disciplinarla in un momento storico in cui il concetto è più maturo. Nel definirla abbiamo quindi beneficiato sia della spinta del nostro piano industriale molto focalizzato sulla sostenibilità – e che ha aiutato nel portare a bordo tutte le anime aziendali – sia del percorso fatto dal mercato e quindi dallo studio delle migliori best practice. La nostra peculiarità è di aver iniziato a passare le nostre operazioni sotto la lente della sostenibilità: da quest’anno, le nostre iniziative vengono valutate secondo il modello proprietario chiamato Sda (Sustainable development assessment) descritto nel nostro primo bilancio di sostenibilità. Il modello, che tiene conto di parametri ambientali e sociali sia per quanto attiene alla controparte sia per quanto attiene al progetto specifico, nonché  la capacità di Cdp di fungere da addizionale di valore (perché per esempio permette di colmare eventuali gap di mercato), non implica solo una valutazione di impatto successiva ma si applica sin dalla fase di origination. Attraverso un’istruttoria completa supportiamo la valutazione da sottoporre al comitato rischi. A questo si aggiunge poi il nostro modello di valutazione ex post, per verificare che quanto promesso venga rispettato (per esempio la capacità dell’intervento di incidere su Pil e occupazione). Infine, valutiamo come le nostre risorse mobilitate incidono sugli Sdg.

La sostenibilità è integrata nella mission, non avete articolato uno statement specifico per il purpose?

Comprendo che sono concettualmente differenti ma non sono una sostenitrice di una battaglia terminologica sul punto. L’importante è che ogni azienda abbia in mente il proprio purpose. Nel caso di Cdp era già parte integrante della mission lo scopo di promuovere lo sviluppo in Italia in modo responsabile, utilizzando i risparmi del Paese per stimolare l’occupazione e la crescita, sostenere l’innovazione e la competitività delle imprese, le infrastrutture e lo sviluppo.

Quali le prossime iniziative di governance?

Il bilancio integrato è l’espressione di un’azienda che vive appieno la sostenibilità. Credo che dal momento che Cdp si è dotata di un framework integrato, la conclusione logica sia muoversi verso una rendicontazione rotonda, dal punto di vista finanziario, ambientale e sociale che guarda a tutti i capitali. Penso che oggi il passo sia breve. A livello di integrazione operativa, stiamo dialogando costantemente con gli ambasciatori della sostenibilità in ogni area aziendale, usando il linguaggio di ciascuno e cercando di dare sempre più corpo ai nostri impegni. La struttura della sostenibilità deve avere infatti la capacità di essere multi-linguaggio. Per facilitare peraltro l’adozione di un agito comune orientato ai principi di sostenibilità stiamo anche studiando percorsi di comunicazioni interna e formazione, sia online sia in presenza, che portino la sostenibilità a tutti e non solo ai nostri ambasciatori.

Come è organizzato il team di sostenibilità?

Svolgiamo 3 differenti attività primarie: strategia e rendicontazione, valutazione di impatto ex ante ed ex post, iniziative di sostenibilità interne e dialogo con società civile, agenzie di rating e investitori. Siamo un team piccolo caratterizzato da grande trasversalità. Importante, infatti, è che  la funzione sostenibilità abbia la capacità di coordinarsi con tutte le funzioni, in primis con gli ambasciatori che fanno da ponte con il resto dell’azienda.

Quali le practice di governance Esg che secondo la sua esperienza hanno un maggiore impatto nel presidio dei temi non financial?

Il forte commitment del cda e l’integrazione nel piano industriale sono un supporto fondamentale: quando tutta l’azienda condivide gli obiettivi il dialogo è facilitato.  Personalmente, durante la mia esperienza pregressa, ho poi trovato nel bilancio integrato uno strumento di grande aiuto. Ma nel 2014 i tempi erano differenti: allora la sostenibilità non era trasversalmente compresa da tutte le anime aziendali e il bilancio integrato diventava il modo per far capire a tutti il loro ruolo nella produzione di valore dell’azienda. In altri termini, era uno strumento utile per far comprendere alle funzioni aziendali la sostenibilità attraverso il loro stesso linguaggio. Oggi, nel caso di Cdp, una rendicontazione integrata più che uno strumento dedicato ad agevolare un cambiamento profondo e a promuovere una sostanziale maturazione; è la testimonianza ultima per gli stakeholder dell’evoluzione conseguita.

La professoressa Genovese durante la ESG Business Conference ha parlato di “empowerment degli stakeholder”. Cdp è una realtà complessa quando si parla di stakeholder, quali le vostre iniziative in questo senso?

Cdp, da sempre profondamente in connessione con il territorio, nel corso del 2019 ha aperto nuove sedi territoriali e punti informativi (“Spazi Cdp”) e promosso eventi e confronti con il territorio stesso.. A fine 2019 ha realizzato il suo primo forum multi-stakeholder per valorizzare la componente bottom up, fondamentale alla declinazione dei propri obiettivi. Cdp ha il vantaggio di essere Istituto Nazionale di Promozione e il privilegio di operare con le imprese, le eccellenze produttive nazionali e la pubblica amministrazione per favorire un progresso sostenibile, mettendo in campo la capacità di fare sistema. A livello di mercato abbiamo sempre vissuto la sostenibilità come un fattore competitivo. E lo è: aiuta a migliorare i ritorni economici e a ridurre i costi. Ma non è un fattore tipico dell’arena competitiva al pari di altri: se non c’è concertazione del sistema i risultati dei singoli non servono a renderlo più resiliente. Cdp può fare sistema e pensare in chiave globale. Portare avanti questa visione permette di arrivare ad aziende e filiere, per supportare così anche coloro che sono in difficoltà nel comprendere il tema, gli indicatori e le metriche utili a garantire un’evoluzione ormai necessaria.

Qual è la sua riflessione sul dibattito in corso sulla standardizzazione delle metriche?

Sicuramente si sono moltiplicati gli standard, pertanto apprezzo tutti i tavoli che ci permettono di comprendere le relazioni tra gli stessi. Anche le aziende hanno bisogno di comparabilità, altrimenti non riusciamo a leggere i settori differenti per nel rispetto delle  loro specificità. Certamente, è vero che standard diversi rispondono a esigenze diverse. Il Gri, per esempio, tiene conto delle tematiche materiali per gli stakeholder con una prospettiva di lungo periodo e quindi ha una valenza anticipatoria su quelle che impatteranno sul business. Il Sasb è molto più pragmatico nell’individuazione di rischi e opportunità Esg che hanno probabilità di impattare qui ed ora su aspetti finanziari ed economici. Scegliere gli standard o ancor di più modificare quelli che ormai da tempo si utilizzano per leggere l’azienda non è semplice, ed è certamente un costo importante, senza contare il problema che si apre con il track record dei monitoraggi costruiti negli anni. Per questo le aziende europee, dove è diffuso lo standard Gri, che avevano necessità di dialogare con investitori stranieri hanno iniziato a ricercare modalità di raccordo con il Sasb. Ora Sasb e Gri hanno stretto un accordo di collaborazione.  Mi sembra che questa sia la direzione giusta, ossia quella di lavorare a un quadro concettuale che aiuti a leggere i diversi strumenti determinandone le interrelazioni per supportare il progresso valorizzando il pregresso.

Come ha inciso il Covid sul percorso della sostenibilità in azienda?

Per chi fa sostenibilità è il momento ideale per dare un impulso significativo al tema alla luce di un sistema socio-economico che ha mostrato tutta la sua fragilità. Di massima non ci sarà una cambio a 360° sull’agenda delle tematiche che già erano attenzionate, ma un rinnovato senso di urgenza sulla realizzazione di azioni e programmi che erano parte integrante del piano industriale. Per citarne alcuni:il rilancio delle città in chiave green&smart, interventi di economia circolare e transizione energetica nonché interventi di innovazione sociale per assicurare inclusione sociale. Ci si è resi conto che la crisi ha messo a nudo un equilibrio molto fragile tra salute, ambiente e benessere e che non è più possibile continuare sulla strada di prima. Occorre quindi accelerare il cambio di rotta, con più coraggio e consapevolezza, verso un modello più sostenibile ed equo.

Elena Bonanni

 

 

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