ET.PEOPLE/ 26 INTERVISTA A SANDRO MARCHETTI

Il comunicatore: «Ancora troppo facile il marketing greenwashing»

4 Ott 2019
Interviste Companies & CSR Commenta Invia ad un amico
Marchetti parla della necessità di scelte di comunicazione che generino impatto sulla cultura della sostenibilità «perché la comunicazione si sedimenta sul lungo termine». E avvisa del pericolo greenwashing, «realtà diffusissima oggi nelle prassi di marketing»

La “sostenibilità” può assumere diverse accezioni. Per Sandro Marchetti, fondatore di Iaki, agenzia di comunicazione attiva nel settore dei servizi di customer engagement online e offline, questa parola racchiude in sé un significato che «non è soltanto riferito all’ambiente, ma anche alla società», e sottolinea come la seconda sia una dimensione «connessa alla prima, ma spesso dimenticata». Marchetti precisa che sebbene si tratti di un termine «ormai molto usato, in contesti diversi e quindi con significati diversi, un tratto comune a tutti gli utilizzi è lo sguardo al futuro. Perché il concetto stesso di sostenibilità esprime la necessità che il nostro sistema di vita attuale possa continuare a esistere negli anni a venire. In questo senso astratto, il tema della sostenibilità ha oggi un’importanza fondamentale per il genere umano».

La tematica del vivere e lavorare sostenibile coinvolge la sua attività professionale?

Occupandomi di comunicazione per le aziende sono quotidianamente a contatto con le strategie di marketing, vendita e comunicazione. Opero al centro delle dinamiche di consumo, che sono anche le dinamiche che si sono dimostrate insostenibili per l’ambiente e la società. Sono, o mi sento, dalla parte dei cattivi. Vero è che la maggior parte delle aziende non integra i temi della sostenibilità nella propria riflessione, nelle proprie prassi, e neanche nei propri obiettivi di comunicazione. Questo impedisce a un’agenzia come la nostra di farlo autonomamente, perché non c’è nulla da comunicare; anzi, spesso ci sono cose da nascondere. La situazione sta cambiando, ma molto lentamente. I temi della sostenibilità per molte aziende sono entrati in letargo con lo scoppio della crisi, dieci anni fa. Più recentemente i media hanno generato una consapevolezza crescente, ma credo che ci vorrà ancora qualche anno prima di vedere risultati concreti.

Crede che la sostenibilità possa essere un driver per il suo lavoro?

Lo sarà senz’altro se si genera un circolo virtuoso tra azioni reali delle aziende, strategie di comunicazione che sanno valorizzare quelle azioni, e risposte reali delle persone che premiano le aziende virtuose, le “votano” concretamente con i loro acquisti. A me pare che i progetti di comunicazione portino impatti positivi (o, almeno, attenuino quelli negativi) all’ambiente e alla società, ma si tratta di impatti minimi rispetto ai prodotti sottostanti: se la produzione e il trasporto di una merce inquina l’ambiente e sfrutta la mano d’opera, e il suo consumo riempie le città di rifiuti, non è molto rilevante che la brochure di quella merce sia su carta riciclata, per avere un’immagine al passo coi tempi. Ciò detto, anche quando le attività sottostanti non sono orientate alla sostenibilità, è dovere delle agenzie e dei comunicatori in generale proporre soluzioni che lo siano.

Il pericolo di greenwashing ha un certo impatto nel suo campo?

A mio parere il greenwashing è una realtà diffusissima oggi nelle prassi del marketing. Molto più facile creare operazioni di marketing “green”, più o meno credibili e complete, che non rivedere i propri cicli produttivi e distributivi, o stimolare le persone a cambiare il proprio modello di consumo. Le poche aziende che invece stanno integrando la riflessione sulla sostenibilità nel loro sistema complessivo di concezione, produzione e distribuzione sono le prime a essere interessate a comunicarlo; e quindi è dovere delle agenzie di comunicazione supportare queste scelte comunicandole in modo appropriato, anziché imitare i messaggi di comunicazione dei concorrenti meno virtuosi. Questo, a mio parere, è un problema reale: vedo spesso campagne di comunicazione che non veicolano i valori di sostenibilità pur presenti nel prodotto e nell’azienda committente. Questa mancanza di determinazione e focus non aiuta certo la causa della sostenibilità.

Secondo lei chi si occupa di comunicazione e marketing può contribuire allo sviluppo di una società più attenta alla sostenibilità?

Certamente le scelte di comunicazione sono importanti; chi investe grandi (o piccole) risorse in pubblicità può generare un impatto sulla cultura, sulla percezione e sulle azioni delle persone, un po’ come i mezzi di informazione. Ma per farlo serve il coraggio di fare scelte nette oggi, scelte che verranno ripagate nel breve e nel lungo termine. Perché la comunicazione si sedimenta nel lungo termine, e chi inizia a posizionarsi correttamente oggi, avrà benefici immediati (vista l’attenzione dei media e del pubblico sul tema), ma anche vantaggi competitivi netti in futuro.

Pensa che le tematiche sostenibili possano essere un driver per la sua immagine pubblica (pensando soprattutto al mondo social)?

A dire il vero non ci preoccupiamo molto della nostra immagine pubblica, quanto invece dalla conoscenza che hanno di noi e delle nostre proposte i clienti. Quindi non investiamo tempo e risorse per farci belli agli occhi del mercato, ma invece li investiamo per migliorare le soluzioni che offriamo. I canali social sono uno straordinario amplificatore della comunicazione, ma non sono qualcosa di completamente diverso. Quindi possono amplificare anche il greenwashing e la deresponsabilizzazione, perché cavalcano facilmente tutti i fenomeni, non solo quelli positivi. Resta la necessità di dare l’esempio e di ispirare le nuove prassi.

I temi sostenibili stanno entrando o sono già presenti anche nella sua quotidianità privata?

Assolutamente sì, da anni, sia per gli aspetti ambientali sia per quelli sociali. E non solo nella mia quotidianità privata ma anche in quella della nostra agenzia.

Alessia Albertin

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