Le linee guida presentate nel corso della SettimanaSri

L’Esg dà valore al private equity

12 Nov 2015
Notizie SRI Finance Commenta Invia ad un amico
Il gruppo di lavoro guidato dal Forum per la finanza sostenibile e Aifi ha analizzato il settore del private per mettere in luce potenzialità e lacune. In Fondazione Mattei, illustrato un manuale per l’introduzione di criteri ambientali, sociali e di governance

Settimana_sri_articoloL’investimento Sri può costituirsi come volano per una rinnovata consapevolezza in un settore noto per il rischio e l’illiquidità: il private equity. Perché questa tendenza si affermi nel nostro Paese, però, occorre partire dal confronto con un mercato internazionale in fermento, in cui si registrano grosse somme allocate sugli investimenti responsabili e che da noi è affaticato da una dimensione ristretta degli investitori istituzionali, poche quotate e uno scarso numero di società di gestione di grandi dimensioni. Partendo da questo scenario il Forum per la finanza sostenibile (Ffs), in collaborazione con l’Associazione italiana del Private Equity e Venture Capital (Aifi) ha creato un gruppo di lavoro composto da esperti del settore (operatori, gestori, accademici) per la definizione di linee guida che contribuiscano all’introduzione di criteri Esg (Environmental, social and governance) negli investimenti in private equity. I risultati sono stati presentati il 10 novembre, in occasione del convegno “Sostenibilità nel private equity. 
Come liberare valore integrando i criteri ambientali, sociali e di governance” organizzato da Fsf e Aifi presso la Fondazione Eni Enrico Mattei, nel corso degli appuntamenti milanesi della Settimana Sri. L’appuntamento è stato seguito in twittercronaca diretta da ETicaNews (vedi sintesi dei tweet).

I numeri danno conto di una crescita costante degli investimenti responsabili negli ultimi anni. Secondo i dati dell’ultimo rapporto della Global Sustainable Investment Alliance (Gsia), il mercato degli investimenti sostenibili è passato da 13.300 miliardi di dollari a inizio 2012 a 21.400 miliardi a inizio 2014. Come detto, l’Italia è in affanno davanti a queste cifre, e la sfida raccolta dal Forum e Aifi, formulata nei saluti iniziali anche da Davide Dal Maso, segretario generale di Fsf, e Anna Gervasoni, direttore generale di Aifi è, appunto, quella di adattare i criteri Esg al particolare contesto tricolore, «rivolgendosi anzitutto al panorama delle società non quotate, soprattutto a quelle di piccole e medie dimensioni».

Ed è qui che entra in gioco la dimensione del private equity, analizzata in apertura dei lavori da Isabelle Combarel, Investment Director di Swen Capital Partners, che nella sua panoramica sul mercato sottolinea come «l’Esg consentirà di incrementare trasparenza e fiducia, rendendo il private equity attrattivo e “rispettabile” come gli investimenti più tradizionali».  Concetti ripresi in chiusura dall’altro ospite “esterno” dell’evento, Gaël Le Clec’h, private equity portfolio manager di Caisse des Dépôts (l’equivalente francese della nostra Cdp).

La finalità del gruppo di lavoro guidato da Fsf e Aifi, dunque, è stata quella di procedere con un’analisi strutturata del mondo del private equity, per mettere in luce potenzialità e lacune che possono essere colmate dall’introduzione dei criteri Esg. Da questa analisi sono scaturite le  linee guida presentate, durante il convegno, da un panel di eccellenza composto da Maurizio Atzori di Ape Sgr, Caterina Romanelli di Pai Partners, Valentina Franceschini di Wise Sgr, Walter Ricciotti di Quadrivio Sgr e Lorenzo Stanca di Mandarin Capital Partners. Cinque interventi dedicati ad altrettanti gradi di approccio all’investimento responsabile negli investimenti in private equity.

INTEGRARE L’ESG NELLE SCELTE D’INVESTIMENTO

Il punto di partenza è l’analisi di domanda e offerta: identificare i temi Esg come una sfera integrata nel business dell’azienda è il primo passo e, come ha sottolineato Atzori, aiuta a ridurre il rischio e contribuisce a creare valore. Questo è ancora più evidente nel private equity, perché le società non quotate non sempre forniscono informazioni Sri agli investitori, e si tratta di un investimento «ancora percepito rischioso e poco trasparente». L’introduzione di questi criteri agevolerebbe, da un lato, i gestori di fondi, i General partner (Gp), anche nell’analisi delle società in portafoglio, dall’altro, risponderebbe alle richieste degli investitori, i Limited partner (Lp), dal momento che «l’attenzione dei Lp nei confronti degli aspetti ambientali, sociali e di governance è in aumento». A questi benefici si somma l’adeguamento al quadro normativo: «In futuro, ci si aspetta che siano sempre di più i governi e i regolatori a esercitare pressione per l’integrazione di criteri Esg».

DOTARSI DI UNA POLICY SRI

È un tema fondamentale per l’integrazione Esg, soprattutto in un mercato frammentato come quello europeo dove, ha affermato Romanelli, «non c’è tendenza all’uniformità: ogni fondo adatta la sua policy al tipo di investimento, alla sua cultura» e ad altri fattori collaterali. Questa frammentazione è data dal fatto che «alcune policy implicano l’introduzione di nuove pratiche legate alle tematiche Esg, mentre altre mirano semplicemente a valorizzare quelle esistenti». È un nodo centrale specialmente per i piccoli gestori «che spesso non dispongono di uno staff dedicato alle questioni Esg».

L’ULTERIORE DUE DILIGENCE ESG

La due diligence tradizionale è già connotata dalla presenza di alcuni criteri di sostenibilità (come aspetti sociali e di governance) ma, ha sostenuto Franceschini, quella Esg analizza rischi e opportunità «di solito ignorati». Pertanto, la due diligence Esg prevede un approccio sostanziale, non formale, l’utilizzo di strumenti operativi che non si limitino a questionari o checklist, ma prevedono la collaborazione con l’impresa stessa, e la necessità di consulenti esperti nelle singole materie (soprattutto ambiente e lavoro).

Dalla due diligence Esg dipendono, quindi, le decisioni di investimento (o meno). Infatti, ha sottolineato Ricciotti, le decisioni di non investire in determinati fondi dipendono da esclusioni “settoriali” (classicamente il coinvolgimento in armi, pornografia, gioco d’azzardo), o da «rischi Esg rilevanti» (quali possono essere le condizioni di lavoro o ambientali). Tuttavia, a volte le criticità possono rivelarsi anche opportunità nel caso in cui l’investitore scelga di orientarsi su investimenti con basso Esg per «liberare valore implicito».

EXIT E RENDICONTAZIONE

“Lungo periodo” è la parola chiave. Come ha sottolineato Stanca, «i criteri Esg sono tutti concorrenti nella generazione di valore nel lungo periodo». Perché il valore di questo approccio sia visibile, però, è necessario che i gestori al momento dell’exit rendicontino i risultati conseguiti sotto i profili Esg.

Il risultato dell’incontro, dunque, è un manuale. Un decalogo sul corretto approccio a una fetta poco esplorata del business di aziende, gestori e investitori dal momento che «nel private equity il confronto tra investitore e gestore è diretto», ha ricordato Maurizio Agazzi, presidente del Ffs e dg del Fondo Cometa, in chiusura di lavori. «L’Esg può rappresentare il punto di incontro tra investitori, gestori e investiti, e consentire il superamento di diversi pregiudizi che accompagnano il settore, come la scarsa liquidità e poca trasparenza». In questo caso, dunque, la sostenibilità diventa un campo neutro di confronto.

Raffaela Ulgheri

@raffaelaulgheri

 

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