Antitrust /2: «Italia ancora in lotta con lobby e raccomandazioni»

19 Giu 2015
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L’Italia deve prepararsi a ulteriori battaglie di liberalizzazione. Soprattutto, deve recuperare un ritardo antistorico in termini di cultura meritocratica. Sono due messaggi chiave, per decifrare il grado di responsabilità diffusa del modello socio-economico nazionale, emersi dalla relazione annuale del presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella.

LOTTA ALLE CORPORAZIONI

La battaglia per le liberalizzazioni riguarda «l’ulteriore spinta all’apertura dei mercati e all’aumento della competitività – si legge nella relazione – che potrà venire dall’approvazione parlamentare del disegno di legge annuale sulla concorrenza presentato ad aprile dal Governo all’esame del Parlamento, il quale recepisce gran parte dei contenuti della segnalazione adottata dall’Antitrust nel mese di luglio del 2014. Esso incide su mercati in cui permangono regolazioni che creano privilegi, forme di rendita che non incentivano la concorrenza e l’innovazione: le assicurazioni, i servizi professionali (farmacie, notai, avvocati), le telecomunicazioni, la distribuzione dei carburanti, la distribuzione dell’energia. L’opposizione delle lobbies, che difendono le loro rendite di posizione, sarà certamente assai intensa, ma siamo certi che il Parlamento saprà resistervi».

SIAMO ANCORA COSÌ

L’altro messaggio “sociale” della relazione si legge tra le righe di un auspicio di Pitruzzella. «C’è un’interazione virtuosa tra politiche pubbliche, attività dell’Antitrust e comportamenti delle imprese – si legge nel testo –  che imprime una precisa direttrice di cambiamento all’economia italiana: il passaggio dalla rendita e dal capitalismo di relazione ad un’economia che si apre alla concorrenza “sui meriti” e all’innovazione. Si tratta di un passaggio ancora incompiuto e non privo di contraddizioni, ma necessario se vogliamo avviare una crescita economica duratura in un contesto di salvaguardia della democrazia e della coesione sociale».

L’auspicio è corretto. L’aspetto che lascia pensare, è che l’Italia sia ancora nella condizione di attendere questo cambiamento meritocratico. Mentre dovrebbe essere già mainstream.

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