studio mette in luce perché il problema non è lo shareholder capitalism

Più Csr con più potere agli azionisti

4 Giu 2021
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Alex Edmans, professore di Finanza alla London Business School, rilegge un classico della letteratura sullo shareholder capitalism e spiega perché questo modello, se correttamente interpretato, pone attenzione al valore sociale diffuso dell’impresa

Il modello di shareholder capitalism non può essere ridotto alla ricerca del profitto a breve termine, ma deve includere una considerazione più ampia del valore per gli azionisti, che si intreccia con il benessere di tutti gli stakeholder. Secondo Alex Edmans, professore di Finanza alla London Business School, questo è l’insegnamento che si può trarre da un “classico” della letteratura sullo shareholder capitalism, come l’articolo di Michael C. Jensen e William H. Meckling del ’76, intitolato ‘Theory of the Firm: Managerial Behavior, Agency Costs and Ownership Structure’, studio preso tipicamente di mira dai sostenitori dello stakeholder capitalism. Nel suo intervento “What stakeholders capitalism can learn from Jensen e Meckling”,  Edmans prende le difese di Jensen e Meckling, mostrando come il concetto da loro introdotto di “shareholder welfare” implichi una visione più complessa e articolata dello shareholder capitalism rispetto alle semplificazioni dei suoi detrattori, proprio per l’attenzione data al valore sociale diffuso dell’impresa, contro al primato del profitto a breve termine per gli azionisti

Se per Milton Friedman la responsabilità sociale di un’impresa doveva consistere nell’aumento dei profitti (a breve e a lungo termine), nel modello di Jensen e Meckling risulta centrale il “benessere” complessivo per l’azionista derivante dall’azienda, che include «non solo i benefici relativi ai profitti, ma anche l’utilità generata dai vari aspetti della sua attività imprenditoriale”, fra cui “le donazioni benefiche” e “le relazioni personali con gli impiegati”. Contro le tesi di Friedman, inoltre, per Jensen e Meckling le imprese ottengono vantaggi comparativi nel perseguimento di obiettivi sociali, in termini di reputazione nei confronti dei potenziali consumatori e relazione con la forza lavoro.

Secondo questo punto di vista, i costi derivanti dagli interessi divergenti fra la proprietà e il management, e le modalità per assicurare un loro allineamento, devono porsi in maniera del tutto diversa dalla vulgata del capitalismo da profitti a breve termine. Prendendo le mosse da una più attenta e fedele interpretazione di Jensen e Meckling, la cura proposta da Edmans si basa su una diversa diagnosi: non è lo “shareholder capitalism” il problema, ma una sua riduzione allo “short-termism”. Questo significa che per migliorare il proprio profilo di responsabilità sociale, un’azienda deve assicurare più diritto di parola e capacità di incidere ai suoi azionisti, assicurando che vengano presi in considerazione gli obiettivi non finanziari e il loro “welfare” più generale. Uno shareholder capitalism così inteso, sostiene lo studioso, è una premessa indispensabile alla responsabilità sociale di impresa vicina allo stakeholder capitalism e contrapposta al capitalismo manageriale. Gli interventi normativi sulla corporate governance devono quindi puntare, conclude Edmans, ad una maggiore, non minore, capacità di monitoraggio e intervento degli shareholder, insieme ad una rafforzata accountability dei manager.

Giuseppe Montalbano 

 

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