etsri.intervista - Franca Perin, Head of Sri Generali Investments

«Fondi Sri, serve una label nazionale»

18 Feb 2016
Interviste ESG Market Commenta Invia ad un amico
«Le proposte per sviluppare l’Sri in Italia sono molteplici. Tra di esse sicuramente l’incentivazione fiscale, lo sviluppo di un label nazionale per i fondi Sri e una legislazione più esigente. Il mercato attende questo»

Intervista_sriI punti critici per lo sviluppo dello Sri in Italia sono la mancanza di chiarezza e unanimità sulla definizione di prodotto Sri e la necessità di perfezionare ancora la spinta da parte dalle reti di distribuzione. Per Franca Perin, Head of Sri di Generali Investments la direzione su cui lavorare passa per l’incentivazione fiscale, lo sviluppo di una label nazionale per i fondi Sri  e una legislazione più esigente. Ma anche dall’integrazione sistematica dei criteri Esg nelle richieste di preventivo (Rfp) e da una seria e grande campagna di comunicazione che spieghi alla società civile l’importanza di questo tipo d’investimento.  Generali Investments ad oggi gestisce, su delega di Generali Investments Sicav, due comparti di fondi Sri disponibili anche in Italia (il GIS SRI European Equity e il GIS SRI Ageing Population) e prodotti di tipo white-label e mandati istituzionali. 

Come vedete la situazione attuale dello Sri in Italia?

Positivo, in crescita e con potenzialità significative. Il mercato italiano dell’Sri è ancora dominato dagli istituzionali (assicurazioni e fondi pensione), ma noi crediamo in un interesse crescente del mercato retail. Retail che in termini di numeri è ancora piccolissimo (4% del totale Sri in Europa) ma con un potenziale enorme, considerata la grande sensibilità  e interesse delle persone verso le tematiche sociali e ambientali. Il punto critico al suo sviluppo è invece rappresentato dalla mancanza di chiarezza e unanimità sulla definizione di prodotto Sri, oltreché da una spinta da parte dalle reti di distribuzione ancora perfettibile.

Oggi in Italia le strategie Sri che prevalgono sono l’esclusione e le convenzioni internazionali (la scelta di non investire in imprese che non sono etiche perché implicate nella produzione e vendita di armi controverse e nella violazione dei diritti umani, o implicate in incidenti a forte impatto ambientale); in forte crescita sono anche l’engagement legato al diritto di voto nelle assemblee annuali delle imprese e l’integrazione dei criteri Esg nel mainstream. Un approccio quindi focalizzato più sulla reputazione che non su una visione di rischi e opportunità connessi ai fattori Esg (ambientale, sociale e di governance), cosa invece ampliamente applicata negli altri Paesi dell’Europa continentale.

Quali idee proponete per sviluppare lo Sri in Italia?

Le proposte per sviluppare l’Sri in Italia sono molteplici. Tra di esse sicuramente l’incentivazione fiscale, lo sviluppo di una label nazionale per i fondi Sri  e una legislazione più esigente. Il mercato attende questo. La COP21 di Parigi ha mostrato quanto sia alta l’attenzione dell’opinione internazionale sulle questioni ambientali, e gli investitori si sono mobilitati  in massa su questi temi. Sempre in Francia, ad esempio, in seguito alla conferenza è stato emanato un decreto di legge sulla transizione energetica, pubblicato in dicembre, che chiede a tutti gli attori finanziari di prendere in considerazione e comunicare pubblicamente il loro impegno in materia d’integrazione Esg e transizione energetica.

Le altre direzioni sulle quali lavorare sono l’integrazione sistematica dei criteri Esg nelle richieste di preventivo (RFP) e una seria e grande campagna di comunicazione che spieghi alla società civile l’importanza di questo tipo d’investimento. Un investimento che se fatto in maniera seria è più redditizio ma soprattutto più sicuro, poiché investe in una prospettiva di medio e lungo termine in imprese che sono responsabili, ossia che hanno una strategia solida nei confronti di tutti i loro stakeholder (dagli azionisti ai clienti, dai dipendenti alla società civile) con un solo e unico obiettivo:  creare valore.

Qual è la vostra offerta Sri per il mercato italiano?

Generali Investments ad oggi gestisce, su delega di Generali Investments Sicav, due comparti di fondi Sri disponibili anche in Italia: il GIS European SRI Equity e il GIS SRI Ageing Population. Quest’ultimo è stato lanciato dal Gruppo Generali appena pochi mesi fa, a Ottobre 2015, ed è creato per beneficiare del trend di lungo termine dell’invecchiamento della popolazione attraverso l’investimento in società esposte a questo mercato in fase di crescita. È un fondo che presenta caratteristiche uniche sul mercato, dal momento che combina un trend demografico e una tematica di investimento a lungo termine, un processo di valutazione dei fondamentali azionari e un portafoglio totalmente aderente ai requisiti Sri. Oltre a questi due comparti di fondi, gestiamo anche prodotti di tipo white-label e mandati istituzionali. Includendo anche gli asset assicurativi gestiti per conto del Gruppo Generali, Generali Investments applica oggi una metodologia Sri ad un insieme di portafogli per oltre 27 miliardi di euro.

La governance declinata sulla Csr (integrated governance) è un fattore di scelta per l’investimento?

Assolutamente si, perché l’analisi di governance è un’analisi dei rischi. Tre sono i rischi principali che analizziamo nella nostra metodologia Esg: la mancanza di contro-poteri nell’impresa (esperienza e indipendenza del cda); il rispetto dei diritti degli azionisti minoritari; la remunerazione, in particolare un’analisi dettagliata degli obiettivi legati alla parte variabile. La governance è un elemento essenziale della nostra metodologia Sri: una buona o cattiva governance è rivelatrice dei valori di un’azienda e del suo funzionamento. È raro che ci si sbagli ed è proprio per questo che, tra i criteri Esg, questo è stato il primo elemento ad essere adottato anche dai gestori e dagli analisti mainstream.

Elena Bonanni

@ElenaBonanni

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