ET.IMPACT CONTRIBUTI – cosa cambia con l’Action Plan

Standard unico? Meglio coerenza di sistema

6 Giu 2019
Notizie extra ESG Market Commenta Invia ad un amico
Gli operatori si interrogano sulla standardizzazione di rischi e indicatori Esg. Esistono vantaggi e svantaggi. Il punto cruciale non è tanto nella definizione a monte dei parametri da prendere in considerazione, quanto nella capillarità e coerenza delle nuove regole

L’attività legislativa delle autorità europee in materia di investimenti sostenibili, da un anno a questa parte, ha compiuto sviluppi importanti e, come in tutti i momenti di cambio di paradigma non mancano, da un lato, le resistenze degli operatori del mercato, dall’altro, qualche difficoltà di armonizzazione legislativa tra autorità Ue e Paesi membri.

Il concetto di sostenibilità è da molti anni al centro del progetto europeo. Lo dimostrano la firma, nel 2016, del Paris Agreement sui cambiamenti climatici, e, nel 2015, l’adozione dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo sostenibile (SDGs) promossa dalle Nazioni unite. Ma è nel 2018, con l’Action Plan: Financing Sustainable Growth, che la Commissione compie un passo decisivo per rendere concreti alcuni dei principi “alti” sottoscritti in precedenza, con l’obiettivo di «riorientare i capitali verso investimenti sostenibili che permettano di ottenere una crescita economica sostenibile e inclusiva».

Questa spinta ha avuto come risultato immediato quello di mettere il tema della sostenibilità al vertice dell’agenda di investitori e operatori finanziari. A un anno dalla pubblicazione dell’Action Plan alcuni passi importanti sono stati già fatti, ma il percorso di implementazione resta ancora lungo.

Uno dei temi caldi del dibattito riguarda la necessità o meno di standardizzare la definizione di rischi e indicatori di sostenibilità (Esg). Alcuni operatori del mercato chiedono che il legislatore europeo fornisca una visione univoca e comune di cosa si intenda per fattori Esg affermando che l’assenza di uniformità può aprire la strada a molteplici rischi.  Ad esempio:

  • Lo sviluppo di prodotti che sostengono di essere sostenibili senza esserlo (il cosiddetto greenwashing);
  • Una mancanza di chiarezza e / o molteplicità di approcci potrebbe generare equivoci e aspettative frustrate;
  • Essere una fonte di contenzioso tra clienti e imprese / fondi di investimento;
  • La combinazione dell’approccio europeo proattivo sui prodotti sostenibili e di più etichette e fasi di sviluppo non uniformi potrebbe non permettere agli investitori di valutare correttamente il rischio e di comparare prodotti diversi con il rischio di “affollamento” o di effetti di bolla all’interno di determinate asset class.

La risposta del legislatore è stata, a nostro parere, molto sensata: il mondo dell’analisi di sostenibilità, così come la legislazione in materia, è ancora in evoluzione, mettere oggi dei paletti troppo rigidi alla definizione di quali siano i criteri e parametri Esg significherebbe limitare la possibilità di innovazione.

D’altro canto, si potrebbe aggiungere anche che la standardizzazione/regolamentazione delle analisi del merito di credito pre-2008 non abbiano evitato errori di valutazione e pratiche commerciali azzardate.

Il punto cruciale non è tanto nella definizione a monte dei parametri da prendere in considerazione, quanto nella capillarità e coerenza delle nuove regole a partire dalle società target di investimento che devono pubblicare dati Esg (rif. Non-Financial Disclosure Directive) passando per i  fornitori di dati e benchmark Esg (rif. Esma – Benchmark Regulation, Action Plan – low carbon benchmark) fino ad arrivare ai creatori e distributori di prodotti finanziari (rif. Mifid II) e agli altri gestori di patrimoni di terzi come i fondi pensione (rif. Iorp II). Ed è proprio questo  che le autorità europee stanno gradualmente facendo.

Questo articolo fa parte della serie di contributi sugli indici Esg, firmati per ETicaNews da Ecpi Group, index provider specializzato in Esg con sede a Milano

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