Beni confiscati alla mafia: 10 anni per affidarli al sociale

15 Lug 2016
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Libera con il sostegno della Fondazione Charlemagne Italiana onlus ha presentato nelle scorse settimane la ricerca “BeneItalia” sulla gestione dei beni confiscati alla mafia. Lo studio ha l’obiettivo di censire le esperienze di riutilizzo sociale dei beni confiscati presenti nel nostro Paese; definirne iter burocratico e amministrativo, risorse impegnate ed esigenze; valutarne la capacità di generare valore in termini di ore di volontariato e occupazione creata.

La ricerca ha consentito di costruire un database di 524 soggetti diversi (associazioni e cooperative sociali ) impegnati nella gestione di esperienze nate in beni immobili confiscati alla criminalità organizzata, di varia natura e tipologia. Il dato si riferisce a 16 regioni su 20. Dai dati raccolti dalla ricerca BeneItalia emerge che il maggior numero di realtà sociali impegnate in progetti di riutilizzo è costituito da associazioni di varia tipologia (284) e cooperative sociali (131) che gestiscono per lo più appartamenti (167) e ville (115). La regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati alle mafie è la Lombardia con 124 soggetti gestori, segue la Sicilia con 116, la Campania con 78 e la Calabria con 77.

Un dato di particolare interesse riguarda lo stato delle condizioni strutturali in cui il bene è stato trasferito alle associazioni: nel 69% dei casi il bene arriva alla fase del riutilizzo in cattive condizioni strutturali, e solo nel 12% dei casi il bene si trova in condizioni buono/ottimo. Il generale degrado in cui versano i beni presi in carico da chi intende riutilizzarli a fini sociali discende dai tempi intercorsi tra il sequestro del bene e il suo effettivo riutilizzo sociale: dalla ricerca emerge che mediamente sono trascorsi ben 10 anni (esattamente come registrato in un’analoga ricerca del 2009).
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