Il contributo di eambiente group

Bilancio di sostenibilità e deep state aziendale

21 Gen 2021
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Una parte significativa dei Bilanci di Sostenibilità (BdS) dei quali ci siamo occupati nel 2020 appena concluso nasce da esigenze di comunicazione che imbocchino filoni diversi e sfruttino tematiche nuove rispetto a quelli propri della comunicazione aziendale dei temi “core” o istituzionali; vero è che anche i nostri temi − quelli legati alla sostenibilità – presuntamente nuovi o ritenuti addirittura dirompenti agli inizi della cosiddetta Era dello Sviluppo Sostenibile, che potremmo datare a partire dal 2015 con gli Sdgs e l’Agenda 2030 dell’Onu (es. le bioplastiche, il fotovoltaico, le rinnovabili, la mobilità elettrica, la cogenerazione ecc) esauriscono presto – se non hanno già esaurito – la loro carica trasformativa se rimangono sul piano della tattica di corto respiro e se l’azienda non fa seguire alla fase di disclosure quella ben più impegnativa – ma altrettanto remunerativa nel medio-lungo termine – legata ai piani e agli investimenti necessari per il miglioramento “quantico” delle performances Esg.

Spesso è dunque la Comunicazione la funzione aziendale incaricata di seguire il progetto BdS, interfacciarsi con la società di consulenza, gli stakeholders “esterni” e fungere da collettore di tutti i dati provenienti dalle altre funzioni coinvolte nei processi sensibili.
In molti casi si tratta del terzo o quarto rinnovo del bilancio di sostenibilità e la dinamica alla quale assistiamo in mancanza di visione strategica – proprio in virtù di questo uso a fini prevalenti di marketing dello strumento di disclosure – è quella di un progressivo “inaridimento” del senso e dello scopo del BdS (il “purpose” ), che rimanendo troppo in superficie rispetto ai processi profondi di gestione e trasformazione aziendale (quello che potremmo definire il corporate deep state) non riesce a sfruttare l’energia rigeneratrice dell’analisi in ottica Esg del fenomeno aziendale. È anche vero che la Comunicazione, per quanto sia informata e consapevole di “come funziona” l’azienda, a volte non ha controllo e conoscenza abbastanza approfonditi dei processi in gioco, e dunque il rischio è quello di non raggiungere mai le leve profonde e i meccanismi “nascosti” del modello aziendale. Questo fenomeno ne cela un altro, ovvero il fatto che la delega dei temi Esg alla Comunicazione o ad altre funzioni ritenute “non core” è un modo per impedire che di questi stessi temi possa occuparsi chi ne avrebbe il controllo effettivo e la possibilità di incidervi.

Ci è utile dunque mantenere queste due definizioni, il livello più “esteriore” della Comunicazione/Mktg e quello profondo delle leve aziendali di trasformazione e controllo della conoscenza in grado di produrre vantaggio competitivo – quello “vero” agli occhi degli imprenditori, che rimane quasi contrapposto alle logiche di disclosure e degli effetti che quest’ultima sarebbe in grado di generare sulle relazioni con gli stakeholders, e in ultima analisi sulla stessa evoluzione positiva del modello di business.

Rileviamo anche la sussistenza (o il perdurare) di un tema generazionale, che si può porre in relazione con quello più generale del passaggio del controllo aziendale dalla generazione dei fondatori – legati a schemi e impostazioni “vincenti” in quanto hanno garantito il successo e la capacità di imporsi dell’azienda sul mercato nel tempo – e le nuove leve che spesso, malgrado tutto, non riescono ancora a subentrare pienamente nel controllo aziendale né ad imporre i temi Esg come opportunità concrete di cambiamento, sviluppo e crescita. Il tema della conoscenza come “tabù” anziché come opportunità di integrazione a livello di filiera e di reale coopetition con una frangia avanzata/selezionata di pari – magari seguendo logiche di complementarietà – è strettamente connesso al tema del potere dentro l’azienda, del chi prende le decisioni importanti e dell’effettiva possibilità di riconversione del modello di business nel senso di vera sostenibilità trasformativa. Il salto di qualità risiede anche nel riuscire a comunicare ai clienti che è necessario conoscere ciò che succede lungo tutta la filiera per poter intervenire in modo davvero efficiente, in una logica di ciclo di vita.

Il tema di chi imprime i cambiamenti in azienda (dinamiche push vs pull) si fa sentire nei casi in cui il BdS sia uno degli aspetti nei quali l’impresa si avventura, al quale se ne associano altri come ad esempio il protocollo Carbon Disclosure Project (Cdp): in questo caso la direzione è dettata spesso dai grossi clienti di cui le nostre Pmi sono fornitrici e che – si tratti di multinazionali del settore automotive, elettrodomestico, oil & gas, rinnovabili ecc. – devono estendere alla filiera il rispetto di requisiti, norme e standard di disclosure che hanno in prima battuta già adottato internamente. Si tratta di esercizi potenzialmente molto proficui dal punto di vista della revisione dei processi chiave in ottica Esg, ma il fatto che siano imposti dall’esterno e non vissuti come opportunità ne fa spesso disperdere i benefici legati ad una tempestiva adesione a questi modelli in ottica di miglioramento continuo e progressiva articolazione dei modelli di gestione e di governance Esg, sfruttandone le potenzialità in termini di programmazione a medio e lungo termine, in rapporto a dinamiche di cambiamento che non sono solo quelle tipiche della gestione aziendale ordinaria: le aziende finiscono così per perdere il tratto di spinta e innovazione che deriva ad esempio da determinati modelli di analisi – anche finanziaria – dei rischi/opportunità legati al climate change e la presa in carico di variabili che non siano soltanto le marginalità tipiche del controllo di gestione.

Spesso l’adesione a protocolli subiti più che voluti – come è il caso del Cdp – mette in luce anche il tema di quanta disclosure sia opportuno fare; qui si ripropone la dicotomia tra comunicazione di superficie e deep state aziendale. Capita in molti casi che alla vigilia della stampa del bilancio la Proprietà realizzi che i dati che si stanno per pubblicare contengono informazioni sensibili a livello di ricetta produttiva o che semplicemente rischiano di mettere l’azienda in cattiva luce rispetto a temi, quelli della sostenibilità, dove certamente mancano ancora riferimenti condivisi e benchmark di settore ai quali comparare le performances dell’azienda.

Per questo riteniamo che in un’ottica di crescita e vero sviluppo sostenibile sia necessario un parallelo percorso di sviluppo della governance in senso inclusivo, che – oltre al pieno e sostanziale coinvolgimento delle funzioni considerate minori nelle gerarchie aziendali – mostri anche il coraggio di portare a bordo partners non convenzionali, come gli attori della filiera in grado di fare la differenza, oltre ai principali stakeholders: costoro diverranno solidi alleati nel percorso di consolidamento, crescita e diversificazione rendendo possibile il salto quantico menzionato in apertura: tutto questo ovviamente con un partecipe, forte imprimatur dell’Imprenditore/cda, lungo l’intero processo.

Gabriella Chiellino
Presidente eAmbiente Group

Manfredi Vale
Responsabile Area Certificazioni e Reporting

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