parla uno dei protagonisti del cambio di modello nella finanza

Sir Ronald Cohen: «Così l’Esg diventerà impact investing»

25 Mag 2023
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Viene riprodotta, nella versione integrale, l'intervista pubblicata sulla francese Revie Banque. Sono numerose le riflessioni che confermano l'accelerazione della ricerca dell'impatto da parte del sistema economico-finanziario. Nell'accountability, «probabile la leadership europea»

«Nei prossimi cinque anni, la finanza Esg si trasformerà in finanza a impatto (o impact investing). La convergenza di tutti gli sforzi per misurare e valutare l’impatto è già iniziata e continuerà a progredire». Si apre con questo messaggio un’intervista pubblicata in gennaio in Revue Banque, rivista bancaria francese, a Sir Ronald Cohen, uno dei principali protagonisti del percorso della finanza verso modelli responsabili (vedi biografia). L’autore, Bernard Cherlonneix, e la rivista hanno colto con favore l’ipotesi di una ri-proposizione dell’articolo su ETicaNews (vai all’articolo originario)**. L’intervista viene riprodotta nella sua versione integrale, incluse le domande dell’intervistatore*. Sono numerose le riflessioni che confermano l’accelerazione della ricerca dell’impatto da parte del sistema economico-finanziario.

Quale distinzione esiste tra l’investimento socialmente responsabile (Sri), che si basa su criteri ambientali, sociali o di governance (Esg) extra-finanziari, e la finanza a impatto (o impact investing)? Qual è la sfida concreta che comporta il passaggio graduale dalla gestione Sri/Esg alla finanza a impatto a livello globale?

La differenza tra Esg e impact investing risiede nel fatto che l’Esg ha l’intenzione di creare un impatto, senza misurarlo, mentre l’impact investing include entrambe le dimensioni: intenzione nel raggiungimento dell’impatto e sua misurazione. Si può osservare che il mondo si sta muovendo verso una maggiore trasparenza sull’impatto complessivo delle attività aziendali: l’International Sustainable Standards Board (l’estensione ‘sostenibile’ degli Ifrs creata nel 2021 dalla Cop26) sta standardizzando le metriche quantitative sugli impatti ambientali e sociali; la Securities and Exchange Commission (Sec) ha disposto un requisito normativo per la divulgazione completa degli impatti ambientali delle società quotate; la neonata International Foundation for Valuing Impact (Ifvi) sta standardizzando i coefficienti di valutazione dell’impatto monetario (monetizzazione) combinati con la metrica Issb, e l’Unione Europea ha imposto la trasparenza sui portafogli di investimento attraverso il Sustainable Finance Disclosure Regulation.

Con l’inclusione della misurazione dell’impatto nell’Esg, questo si trasformerà gradualmente in impact investing. Le aziende saranno in competizione per ottenere il più alto valore di mercato basato non solo sui profitti ma anche sulle performance a impatto. La trasparenza prodotta dall’Impact Weighted Accounts Initiative (Iwai), iniziativa lanciata nel 2019 dalla Harvard Business School, rivela che su 3.000 aziende, 450 (15%) creano maggiori danni che profitti nell’arco di un anno, e 1.000 di esse creano danni equivalenti ad almeno un quarto del loro profitto netto annuale. Inoltre, la stessa fonte rivela che gli impatti ‘di prodotto’ (products) possono essere confrontati tra le varie aziende. Ad esempio, nell’industria alimentare, Danone causa più di 7 miliardi di dollari di danni alla salute all’anno per l’uso di zucchero nei suoi prodotti, mentre General Mills ottiene più di 2 miliardi di dollari di impatto positivo sulla salute grazie all’uso di fibre nei propri prodotti. Dal punto di vista sociale, si possono ottenere intuizioni sorprendentemente preziose anche confrontando i ‘debiti di diversità’ (diversity debt) delle grandi aziende. Il debito di diversità è misurato dal compenso che sarebbe stato pagato ai membri esclusi delle comunità etniche o di genere. Ad esempio, il debito di diversità annuale di Amazon è stimato essere di oltre 6 miliardi di dollari, mentre quello di Apple è di oltre 2 miliardi di dollari, ma in proporzione alla massa salariale di ognuna di queste due aziende, quello di Amazon è del 16% rispetto al 24% di Apple. Quando questo tipo di informazione inizierà a essere diffuso e preso in considerazione dagli investitori, l’Esg diventerà impact investing.

Ci si può rendere conto di quanto sia in gioco se si considera che gli investimenti Esg valgono oggi oltre 40.000 miliardi di dollari a livello globale, mentre gli investimenti a impatto valgono 3,5 miliardi di dollari. Ritengo che il divario tra queste due cifre si ridurrà rapidamente nei prossimi tre-cinque anni, grazie all’esplosione dei dati sull’impatto e ai miglioramenti nella trasparenza.

Possiamo dire che il capitalismo d’impatto, che lei contrappone al capitalismo egoista, implica un orizzonte temporale più lungo, un capitale più paziente e requisiti di rendimento finanziario più ragionevoli o differenziati? In altre parole, che il trittico “redditività-rischio-impatto”, la bussola del capitalismo d’impatto, pesa sul dittico “rischio-rendimento”, almeno nel breve termine?

Penso che il miglioramento dell’impatto sociale e ambientale comporterà orizzonti temporali diversi, a seconda dell’intensità di capitale dei settori interessati. Nel tempo, dovremmo aspettarci di vedere un progresso dell’impatto a tassi di crescita annuali, proprio come oggi ci aspettiamo di vedere un aumento degli utili. Gli investitori calcoleranno le correlazioni tra la crescita degli utili e le performance a impatto, e l’influenza dell’impatto sulla stabilità del personale, l’attrazione dei migliori talenti, il reclutamento di nuovi clienti e i multipli di capitalizzazione. È possibile che l’attenzione alla misurazione dell’impatto permetta alle aziende di adottare una visione più a lungo termine e permetta loro di abbandonare l’ossessione per i profitti trimestrali, anche se è ancora difficile dirlo in questa fase.

Misurare l’impatto sociale, che per lei comprende anche l’impatto ambientale, è una delle chiavi per scalare l’economia e la finanza virtuose. Può descrivere il suo nuovo importante progetto, International Foundation for Valuing Impact, che mira a stabilire quelli che lei chiama i Principi di Impatto Generalmente Accettati, basati sul modello Us Gaap (istituito negli Stati Uniti nel 1933 dalla Sec, quando fu creato in risposta alla crisi del mercato azionario del 1929 e all’anarchia contabile dell’epoca) il cui obiettivo finale è quello di ottenere una linea di fondo netta di impatti positivi e negativi monetizzati per ogni azienda?

L’International Foundation for Valuing Impacts (Ifvi) è uno spin-off dell’Iniziativa degli Impact Weigthed Accounts della Harvard Business School, guidata dal professore di Contabilità aziendale George Serafeim, e che io presiedo. La maggior parte del team proviene dall’Iwai. I 20 membri del Consiglio di amministrazione dell’Ifvi, esperti in investimenti, affari e regolamentazione finanziaria sono presentati sul sito web https://ifvi.org/, che include anche gli obiettivi dell’Ifvi, ben espressi dai tre studi principali a cui fornisce un collegamento diretto.

L’obiettivo dell’Ifvi è quello di produrre una serie di coefficienti di valutazione monetaria nei prossimi due o tre anni, da confrontare con la metrica quantitativa standard fornita dall’Issb. L’obiettivo finale è quello di incorporare l’impatto nell’analisi finanziaria e nella valutazione aziendale. L’Ifvi lavorerà in stretta collaborazione con la Value Balancing Alliance, con sede a Francoforte, che riunisce un gruppo di trenta grandi aziende internazionali e studi contabili.

Lei non teme, come alcuni, che il progetto di metriche di performance extra-finanziarie si trasformi in un processo troppo complicato che consuma energia e capitali sottratti al finanziamento concreto dell’impatto? Cosa ne pensa di una pluralità di metriche a impatto che lasciano spazio a opzioni di metriche semplificate?

La convergenza di tutti i diversi sforzi di misurazione e valutazione dell’impatto è iniziata e continuerà a progredire. Si tratta chiaramente di un imperativo per raggiungere i Generally Accepted Impact Principles e tutti ora lo riconoscono. Alcune questioni, che hanno portato ad approcci diversi, si stanno attenuando con il tempo. Ad esempio, la questione della materialità singola e doppia si sta risolvendo con la pressione degli investitori affinché le aziende rivelino tutti gli impatti materiali che creano, in modo che gli investitori possano scegliere quali sono rilevanti. Dovremmo evitare il più possibile di perpetuare approcci divergenti alla misurazione e alla rendicontazione dell’impatto. I mercati finanziari richiedono la standardizzazione e la comparabilità che essa rende possibile.

Qual è la sua valutazione dei progressi concreti dell’economia e della finanza d’impatto in Europa? Ha qualche “buona pratica” da evidenziare?

Non c’è dubbio che la finanza d’impatto stia crescendo più rapidamente in Europa che negli Stati Uniti. Se guardiamo alle emissioni obbligazionarie e ai prestiti per la sostenibilità, che oggi rappresentano un mercato da 2,5 trilioni di dollari, le emissioni in Europa sembrano essere un quarto di tutte le emissioni obbligazionarie, mentre negli Stati Uniti sono solo il 5% o il 6 per cento. Sebbene siano stati gli Stati Uniti a introdurre i Generally Accepted Accounting Principles (Gaap) nel 1933, è molto probabile che una leadership europea emerga nei Generally Accepted Impact Principles nei prossimi tre-cinque anni.

Lei ritiene che le gravi perturbazioni del panorama politico ed economico globale siano un freno o un acceleratore del passaggio dal modello capitalistico classico al capitalismo a impatto?

Mi sembra che la guerra in Ucraina e l’avanzare della recessione stiano creando correnti contrastanti. Alcune impediranno la transizione verso le economie a impatto di domani, ma altre la stimoleranno. Per esempio, la maggior parte dei Paesi sta cercando di massimizzare la propria efficienza energetica e una maggiore efficienza nell’uso di altre risorse naturali, e allo stesso tempo di aumentare la propria autosufficienza economica. Questo porterà a un avanzamento delle nuove tecnologie nei Paesi che non hanno accesso ai combustibili fossili. Ma non dobbiamo confondere il ciclo con la tendenza strutturale, che va verso economie a impatto che ottimizzano il “trittico: rischio-rendimento-impatto”. Le economie a impatto sono l’unico modo per trovare soluzioni all’altezza delle principali sfide ecologiche e sociali che dobbiamo affrontare.

*La traduzione è a cura di Alban Cathalà, esperto di investimenti a impatto

** L’articolo è stato proposto da Social Impact Agenda per l’Italia, membro del GSG presieduto da Sir Cohen

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