Sul ponte con la Corazzata Kotiomkin

25 Apr 2024
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Pina: “Ugo”.
Fantozzi: “Eh”.
Pina: “Credo che non potrai vedere la tua partita questa sera”.
Fantozzi: “Come?”
Pina: “Dobbiamo uscire”.
Fantozzi: “Chi?!”
Pina: “Il dottor Riccardelli”.
Fantozzi: “No!”
Pina: “Mi ha detto il ragionier Filini che dobbiamo andare immediatamente a vedere un film cecoslovacco”.
Fantozzi “Nooooo!!!!”
Pina: “Ma con sottotitoli in tedesco …”

Il potentissimo professor Guidobaldo Maria Riccardelli era un fanatico cultore del cinema d’arte. Una volta la settimana obbligava dipendenti e famiglie a terrificanti visioni dei classici del cinema. In vent’anni Fantozzi ha veduto e riveduto: Dies irae di Carlo Teodoro Dreyer (sei ore), L’uomo di Aran di Flaherty (nove tempi), ma soprattutto il più classico dei classici, La corazzata Kotiomkin (diciotto bobine) di cui il professor Riccardelli possedeva una rarissima copia personale.

G. M. Riccardelli: “Con vivo rammarico devo comunicarvi che per un imprevedibile disguido la copia dell’annunciato film cecoslovacco non è arrivata in tempo e quindi la proiezione non potrà avvenire.
Dove andate! Fermi tutti!
In sostituzione verrà proiettato l’immortale capolavoro del maestro Sergej M. Eisensten, “la Corazzata Kotiomkin”

Fantozzi: “Per me… La Corazzata Kotiomkin… è una cagata pazzesca!”

… 92 minuti di applausi! 

». 

[Paolo Villaggio, da “Il secondo tragico Fantozzi”, 1976]

 

Fu difficile riconoscere, quando i film uscirono dopo la metà degli anni Settanta, che il personaggio tragicomico di Fantozzi, quello che faceva ridere ma senza ammetterlo troppo, perché ritenuto smaccatamente popolare, rappresentasse in modo spietato e analitico esattamente quella che era la società di quegli anni. Anzi, quella che era la cultura di quegli anni.

Solo qualche decennio più tardi, a quel personaggio sarebbe stata riconosciuta la forza di aver segnato, o meglio, di aver tradotto in immagini indelebili, l’immaginario collettivo di un paio di generazioni. Proprio perché quella tragicommedia individuava i tratti più scomodi eppure condivisi di ciò che si era. E che si accettava di essere.

Il ragionier Ugo Fantozzi non ha perso quella forza nemmeno oggi. Una forza che vale la pena richiamare in relazione alle feste del 25 aprile e, soprattutto, del 1 maggio.

Per ricordare che, nonostante i segnali devastanti che giungono a livello geopolitico, il modello e la cultura imprenditoriale di oggi hanno fatto enormi passi avanti rispetto alla proiezione della “corazzata Kotiomkin” (che storicamente era la corazzata Potëmkin).

Mentre, 50 anni fa, si percepiva verosimile (e perciò scatenava la risata) che l’azienda obbligasse dipendenti e famiglie a terrificanti visioni dei classici del cinema a riprova di un rapporto quasi di proprietà del dipendente, oggi questo messaggio faticherebbe a trovare supporto. L’azienda, soprattutto la grande azienda, è oggi alla ricerca di una relazione differente, se non addirittura opposta, a quella descritta nelle pellicole di Fantozzi.

Certo, si parla di tendenze. Il percorso per rendere l’azienda un vero soggetto “politico”, capace di coinvolgere chi ci lavora in uno scopo più alto e al servizio della comunità, è appena agli inizi.

Tuttavia, riguardare questa scena di Fantozzi, concede di sorridere due volte. Una per come eravamo. E una per come speriamo di non essere più.

 

Riprendiamo le pubblicazioni giovedì 2 maggio.

Buoni film cecoslovacchi (con sottotitoli in tedesco) a tutti

Redazione ET.

 

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