Bankitalia: il rischio clima aumenta probabilità di default
L’Accordo di Parigi ha rappresentato un punto di svolta nella relazione tra emissioni e rischio di credito: successivamente a quell’accordo la correlazione tra livelli delle emissioni ed Expected Default Frequencies (EDFs) è divenuta positiva e statisticamente significativa.
Questo è quanto emerge dalla recente pubblicazione della Banca d’Italia “L’aumento dei rischi climatici: evidenze empiriche sulle probabilità attese di insolvenza delle imprese” a cura di Matilde Faralli della Imperial College Business School e Francesco Ruggiero, Financial Risk Management Directorate di Banca d’Italia. La ricerca analizza, appunto, la relazione tra rischio di transizione climatica e rischio di credito esaminando le emissioni di carbonio delle imprese e le EDFs stimate da Moody’s per 1.308 aziende dal 2008 al 2022.
I risultati, spiega la ricerca, indicano che i rischi legati alla transizione climatica hanno acquisito un’influenza sempre maggiore nel determinare le probabilità di insolvenza delle imprese, in particolare dopo l’Accordo di Parigi: le imprese con elevate emissioni sono infatti diventate più rischiose dopo il 2015, principalmente a causa dell’aumento della volatilità degli asset.
NEGLI USA CORRELAZIONE ZERO
Un aspetto interessante è che, a differenza dell’Ue, negli Stati Uniti non si osserva una correlazione significativa tra emissioni e rischio di credito. Secondo gli autori, è il riflesso delle differenze nei livelli di regolamentazione e compliance ambientale. Mentre l’Ue ha adottato da tempo strumenti stringenti come l’Emission Trading System (Ets), che penalizzano direttamente i grandi emettitori, gli Stati Uniti presentano un sistema frammentato e meno vincolante, con iniziative di cap-and-trade attive solo a livello statale. L’assenza di un sistema federale come l’Ets europeo fa sì che le imprese americane subiscano minori pressioni regolatorie, risultando meno esposte finanziariamente al rischio climatico di transizione.
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