Italia tra i Paesi meno inclusivi ed equi del mondo

9 Set 2015
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Italia fanalino di coda, tra i Paesi avanzati, per la crescita inclusiva ed equità sociale. La Penisola colleziona una serie di pesanti insufficienze nell’Inclusive Growth and Development Report 2015 del World Economic Forum, uno studio pubblicato al termine di due anni di ricerche sul tema delle disparità di reddito e dell’inclusione sociale. Il rapporto, alla sua prima edizione, parte dalla considerazione che sia ormai riconosciuta a livello globale la necessità di un cambio di modello socio-economico, in direzione di una maggiore condivisione (sharing), e che per contro manchino le politiche concrete su questo fronte.

L’analisi analizza un totale di 112 Paesi, suddivisi per grado di sviluppo (le nazioni avanzate sono 30) e li esamina in 7 macro-aree (istruzione, occupazione e retribuzioni, imprenditorialità, intermediazione finanziaria, corruzione, servizi e infrastrutture di base, trasferimenti fiscali), ricorrendo a 140 indicatori quantitativi che “scannerizzano” il contesto individuando punti deboli e best practice nel rapporto tra crescita economica ed equità. L’obiettivo dello studio è «migliorare la comprensione di come i Paesi possono utilizzare i meccanismi istituzionali e gli incentivi di politica per rendere la crescita economica più socialmente inclusiva».

Il giudizio sull’Italia è tagliente. Sono fonte di particolare preoccupazione, spiega Radiocor, l’alto livello di corruzione e la scarsa etica della politica e del business, che hanno implicazioni per molte altre aree e sono tra le peggiori tra i Paesi avanzati. La disoccupazione è alta ed è associata a elevate percentuali di lavoratori part-time involontari e da persone con occupazione precarie e vulnerabili. La partecipazione delle donne alla forza-lavoro è estremamente bassa ed è peggiorata da un divario salariale di genere che è tra i più alti nei Paesi avanzati. E’ scarsa la creazione di nuove imprese che possano alimentare nuove opportunità di occupazione, né è agevole ottenere i finanziamenti per farlo. Il sistema di protezione sociale, che non è né particolarmente generoso, né particolarmente efficiente, accresce il senso di precarietà e di esclusione del Paese.

I “voti” della pagella italiana sono «ampiamente sotto la media», riporta sempre Radiocor, se paragonati agli altri 29 Paesi avanzati. Solo la Grecia appare in generale su posizioni più difficili di quelle italiane. Per l’etica della politica e del business l’Italia e’ al 29esimo posto, con un punteggio di 2,96. La Finlandia è a 6,3 e i Paesi nordici sono in generale sopra al 6. L’insufficienza è netta anche nell’imprenditorialità (29esimo posto con un punteggio di 3,53). Ultimo posto per le infrastrutture di base e digitali. Penultimo per l’inclusione del sistema finanziario e per l’occupazione produttiva, mentre c’è un sorprendente ottavo posto per le retribuzioni. Per l’istruzione la Penisola è 26esima, sostenuta dall’accesso alla scolarità (15esima posizione), ma trainata verso il basso dalla qualità (28esima). Per la protezione sociale (voto 4,33) è 22esima. “Pescando” tra i vari indicatori quantitativi, colpisce l’ultimo posto rimediato dall’Italia per l’entità e l’effetto della tassazione sugli incentivi sia al lavoro (voto 1,95 su 7), sia agli investimenti (2,03). Per il cuneo fiscale c’è la 25esima piazza. In compenso il Belpaese è al settimo posto per il totale delle entrate fiscali sul Pil, con il 42,9 per cento. Per l’efficacia del Governo nella riduzione della povertà e delle disparità il voto è 2,51 su 7 che assegna all’Italia un penultimo posto. Un’altra maglia nera arriva per lo spreco del denaro pubblico, con un punteggio di 1,87. Lo studio elenca anche i principali indicatori di performance, quali il Pil pro capite (34.715 dollari, 22esimo posto), la produttività (20esimo), la disparità di reddito sulla base dell’indicatore di Gini (19esimo posto ante-trasferimento fiscali e il 22esimo post-trasferimenti), il tasso di povertà (12,6%, 21esimo posto). Tra i calcoli dello studio anche l’equità tra generazioni che vede l’Italia al 28esimo posto per il debito pubblico e al 26esimo per il risparmio netto.

Il Wef sottolinea che per tutti i Paesi c’è ampio margine di miglioramento, ma al tempo stesso evidenzia che i Paesi più inclusivi sono anche quelli più competitivi. E l’Italia, quanto a competitività totale, resta saldamente nel plotone di coda, con un 27esimo posto.

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