RICERCA DELLA London school of economics sulle società italiane

Rating Esg, come lo fai?

30 Apr 2020
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In Italia, l'atteggiamento delle aziende nei confronti dei rating di sostenibilità è molto variabile, a seconda dei costi e benefici percepiti. Un nuovo studio Lse ha individuato quattro differenti approcci, che evidenziano aspetti critici per tutto il sistema.

Diversi gradi di compliance, diverso livello di coinvolgimento. Gli approcci delle aziende italiane al mondo delle valutazioni Esg sono eterogenei e variabili, si basano sulle aspettative in termini di costi e benefici ottenibili, ed evidenziano alcuni possibili effetti distorsivi sulle performance di sostenibilità. Il quadro emerge dalla ricerca “How do companies respond to environmental, social and governance (Esg) ratings? Evidence from Italy”, a firma Richard Perkins e Ester Clementino, pubblicata a gennaio 2020 dalla London school of economics and political science (Lse).

L’analisi, di tipo qualitativo, ha selezionato le aziende italiane valutate dal maggior numero di agenzie di rating Esg (fra le quali Msci, Sustainalytics, Vigeo-Eiris e Cdp), o presenti in uno o più indici di sostenibilità. Tra aprile e luglio del 2018, partendo da un campione preliminare di 57 società, i ricercatori hanno intervistato 18 rappresentanti (responsabili dei processi di valutazione Esg) di aziende attive in diversi settori. Le interviste si sono concentrate su tre aspetti: il modo in cui le imprese rispondono al valutatore; i motivi della risposta; il contributo dei rating ai miglioramenti sostanziali delle prestazioni di sostenibilità.

Lo studio ha classificato le risposte ottenute sulla base due dimensioni: il livello di compliance (conformità con i criteri stabiliti dal valutatore in termini di adeguamenti delle politiche, dei processi e delle pratiche organizzative) e quello di engagement (interazioni e coinvolgimento tra società e agenzie di rating). Attraverso questa matrice, sono state individuate quattro tipologie di approcci, illustrati di seguito:

 

CONFORMITÀ PASSIVA

Gli intervistati classificati in questo gruppo (tre società) hanno affermato di aver risposto, almeno parzialmente, alle richieste dei valutatori, che hanno in parte stimolato i processi interni di cambiamento. Tuttavia, il lavoro svolto si è concentrato principalmente sulla disclosure: «La maggior parte – si legge nello studio – ha identificato i report di sostenibilità come lo strumento principale per soddisfare le richieste delle agenzie di rating, e la risposta si è limitata a una migliore divulgazione per conformarsi ai requisiti richiesti». Il potenziale attrattivo nei confronti degli investitori è stata la motivazione più importante, assieme alla presenza di concorrenti diretti nell’elenco delle società valutate. Dalle interviste emerge però un’oggettiva difficoltà a impiegare risorse nei processi di valutazione, che pesa particolarmente sulle aziende più piccole.

CONFORMITÀ ATTIVA

La maggior parte delle aziende classificate in questa categoria (che comprende otto aziende su un campione di 18) ha riconosciuto l’utilità dei rating nella sintesi di diversi aspetti della performance Esg, che fornisce un segnale al mercato e consente agli investitori di confrontare diverse società. Dato che gli investitori acquisiscono dati da diverse fonti, questa tipologia di rispondenti ritiene opportuno «tenere d’occhio tutti i rating», prestando particolare attenzione a quelli considerati i «più strategici». Le aziende hanno riferito che i rating avevano attivato diversi meccanismi di miglioramento: reporting, cambiamento organizzativo interno, impostazione degli incentivi, sensibilizzazione, apprendimento, analisi comparativa (benchmarking con i competitor) e attuazione delle politiche. Un ruolo importante è stato inoltre attribuito al contatto diretto e al dialogo con i valutatori. Tuttavia, un intervistato ha sottolineato che quest’approccio può provocare anche effetti distorsivi, nella misura in cui «obbliga a introdurre pratiche non rilevanti per il core business dell’azienda, soltanto per conformarsi alle richieste dei valutatori».

RESISTENZA PASSIVA

Le tre aziende classificate in questo gruppo non hanno individuato alcun beneficio (né in termini di attrattività per gli investitori, né di benefici sociali o migliore reputazione) nel rispondere alle richieste delle agenzie di rating Esg, considerate spesso come una «seccatura», e in alcuni casi addirittura in aperto contrasto con la strategia aziendale. Secondo un intervistato, gli investimenti per migliorare i punteggi Esg potrebbero essere del tutto inutili o «risultanti in nient’altro che operazioni di facciata distaccate dalla cultura aziendale».

RESISTENZA ATTIVA

Quattro società hanno riferito che, poiché non ritengono che le richieste dalle agenzie siano coerenti con i loro obiettivi, considerano raramente i rating Esg. Tuttavia, hanno mostrato un certo livello di impegno nel manifestare il loro scetticismo o nell’influenzare le metodologie di analisi. Quest’approccio è motivato dalla volontà di incanalare risorse verso l’engagement diretto con gli investitori, cercando di ridurre al minimo l’impatto dei rating. «Coloro che vogliono davvero investire in noi – ha dichiarato un intervistato – hanno bisogno di dati più dettagliati sulle prestazioni Esg della nostra azienda e, in ogni caso, andranno oltre le valutazioni Esg». Inoltre, «le agenzie di rating si basano troppo sulla performance passata e sono di scarsa utilità nella previsione della performance futura, che è l’obiettivo di ogni investitore». In due casi, le valutazioni ricevute sono state ritenute «non correlate alla propria attività» e «irrilevanti per le prestazioni di sostenibilità», tanto da spingere le aziende ad adottare una strategia di lobbying volta a influenzare le metodologie dei valutatori; con il coinvolgimento, in un caso, anche di altre aziende europee.

La varietà di approcci rilevali evidenzia, secondo i ricercatori, diversi effetti distorsivi nei meccanismi di valutazione Esg. In primo luogo, dato che il lavoro delle aziende si pone l’obiettivo di raggiungimento buoni punteggi (perlopiù con un numero rilevante di agenzie, che utilizzano criteri differenti), il costo di questa attività potrebbe sottrarre risorse a «una strategia consapevole volta a migliorare le prestazioni sostanziali». Inoltre, questo approccio basato esclusivamente sui vantaggi economici dati dal rating «corre il rischio di ridurre gli aspetti etici a una logica commerciale e calcolativa».

Fabio Fiorucci

Questo articolo è stato pubblicato in anteprima nella newsletter destinata ai partner di ESG governance LAB

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