Serie: L’Età del Carbonio - Carbonsink per ET.Climate

Carbon border tax, Bca, dazi sul carbonio? Per l’Ue è Cbam

12 Lug 2021
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L’Età del Carbonio è una serie mensile prodotta da Carbonsink per esplorare gli scenari della transizione climatica in rapida evoluzione e i temi carbon emergenti nel mondo della politica, dell’economia e della finanza

Si chiama “meccanismo di aggiustamento del carbonio alla frontiera”. Dall’inglese Carbon Border Adjustment Mechanism, ovvero Cbam. È l’acronimo con cui viene chiamata l’iniziativa che le istituzioni europee stanno discutendo per tutelare i settori economici dell’Unione dalla concorrenza delle importazioni provenienti da Paesi con impegni climatici meno stringenti o assenti. L’idea è nell’aria da diverso tempo ma, nell’ultimo anno, tra gli avanzamenti sul Green Deal europeo, l’obiettivo di emissioni nette zero al 2050 e la corsa rialzista del prezzo del carbonio sul mercato ETS, è diventata il sorvegliato speciale nelle cronache di settore e non solo.

L’obiettivo è arginare il carbon leakage, ovvero la “delocalizzazione” delle attività economiche ad alte emissioni di gas serra in contesti con normative ambientali e climatiche più lasche. Il carbon leakage avrebbe il doppio effetto negativo di non ridurre le emissioni e di mettere i produttori che operano rispettando regole più impegnative in svantaggio rispetto alla concorrenza estera. Anche il governo canadese sta valutando questo strumento di tassazione del carbonio nelle merci importate alla frontiera, in relazione alla carbon tax adottata da Justin Trudeau (in Canada però si parla di Bca, Border Carbon Adjustment).

Attualmente, secondo i dati diffusi dal Parlamento europeo, le merci importate rappresentano circa il 20% dell’impronta carbonica dell’Ue e le emissioni incorporate nelle importazioni sono in costante crescita (Fig. 1).

L’impresa di istituire il Cbam è tutt’altro che facile: il meccanismo deve essere compatibile con i trattati internazionali sul libero commercio, per evitare lunghi e complessi contenziosi in sede Wto, non deve imporre condizioni sfavorevoli ai Paesi più poveri e vulnerabili ai cambiamenti climatici (Ldcs, Least Developed Countries). Deve avere una metodologia chiara per calcolare le emissioni incorporate nell’import-export e non essere predisposto, né soprattutto percepito dai partner commerciali dell’Unione, come una misura protezionistica che rischia di scatenare pericolose guerre dei dazi.

Figura 1. Emissioni incorporate nel commercio internazionale (2018). Fonte: Our World in Data

A marzo di quest’anno il Parlamento europeo ha votato a larga maggioranza una risoluzione per dare gradualmente un prezzo alle emissioni di CO2 di alcuni beni importati nell’Unione Europea, dello stesso valore delle quote scambiate nel mercato del carbonio Ets.

A luglio l’attenzione è monopolizzata dalle proposte regolatorie del pacchetto “Fit for 55”, atteso per il 14 luglio. La Commissione Europea sta lavorando a una lunga lista di revisioni e nuove iniziative legate ai target climatici più ambiziosi dell’Unione verso la neutralità climatica, primo fra tutti quello di ridurre le emissioni di almeno il 55% entro il 2030 (rispetto ai livelli del 1990). Tra questi, anche il meccanismo Cbam (v. Fig. 2).

Figura 2. Iniziative incluse nel “Fit for 55 Package” attese per il 2021. Fonte: Parlamento EU, Legislative Train Schedule Fit for 55 under the European Green Deal

Una bozza trapelata a giugno anticipa alcuni dettagli. Se confermata dalla versione ufficiale, la proposta della Commissione prevede un’autorità incaricata della graduale attuazione del Cbam a partire dal 2023, per arrivare a pieno regime nel 2026. Inizialmente sono coinvolti i settori dell’acciaio, del ferro, del cemento, dei fertilizzanti, dell’alluminio e dell’energia elettrica. Le aziende che esportano nell’Ue dovrebbero riferire annualmente sulla quantità di emissioni incorporate nei propri prodotti e acquistare una quantità corrispondente di certificati di carbonio emessi dalla neonata autorità.

Queste anticipazioni potrebbero subire importanti cambiamenti, data la complessità del tema e le reazioni che si stanno moltiplicando a livello internazionale, in attesa della pubblicazione del 14 luglio.

I partner commerciali dell’Unione Europea hanno già manifestato contrarietà alla misura, fotografata in un recente studio. Al termine del vertice dei Paesi Basic (Brasile, Sudafrica, India e Cina) ad aprile, i ministri hanno dichiarato “forte preoccupazione”. Il presidente cinese Xi Jinping ha sollevato la questione direttamente con il presidente francese Emmanuel Macron e la cancelliera tedesca Angela Merkel. L’India e altri Paesi in via di sviluppo hanno annunciato che porteranno la loro opposizione nella sede dei negoziati internazionali per il clima della Cop26 (un ulteriore nodo che andrebbe a sommarsi al già complesso scenario di diplomazia climatica a Glasgow). Il ministro del commercio australiano ha dichiarato che il meccanismo rischia di aumentare il protezionismo e che sarebbe “incredibilmente difficile” renderlo compatibile con le regole del Wto.

Analisi hanno evidenziato che, così com’è concepito, il sistema introduce una grande quantità di oneri amministrativi aggiuntivi per gli importatori e per le piccole imprese.

I Paesi più poveri fanno pressione in sede Nazioni Unite per chiedere che le proprie merci siano esentate, denunciando il rischio di barriere commerciali penalizzanti. Da una parte, i Paesi più poveri (Ldcs) sono quelli che contribuiscono meno alle emissioni globali di gas serra. Dall’altra, le deroghe potrebbero incoraggiare investimenti carbon-intensive proprio in quei Paesi che hanno più bisogno di risorse per sviluppare l’economia in modo sostenibile per il clima e l’ambiente (by-passando, per esempio, fonti e metodi produttivi più inquinanti). Come saranno usati i ricavi del Cbam? Potrebbero in parte finanziare la transizione low-carbon nei Paesi a basso e medio reddito, come avanzato in alcune proposte? E i prodotti a a basso impatto ambientale, o carbon-neutral, saranno avvantaggiati da questo meccanismo? Le risposte a queste e altre domande arriveranno nelle prossime settimane.

Un altro aspetto critico da definire è il rapporto del Cbam con le attuali misure contro il carbon leakage nell’ambito del sistema Ets, ovvero l’assegnazione delle quote di emissione a titolo gratuito (free allocation). La coesistenza delle due misure (free allocation e Cbam) comporta il rischio di “doppio protezionismo”, e alza la probabilità di contenziosi in sede Wto. Dal canto loro, i settori industriali e i Paesi europei a più alta intensità carbonica non cederanno facilmente sul terreno dell’assegnazione gratuita.

La situazione è così intricata che nelle ultime settimane non sono mancati appelli a discutere soluzioni multilaterali, per esempio all’interno del G20. Secondo uno studio dell’European University Institute, l’attuazione del Cbam richiederà grandi sforzi di negoziazione in diverse sedi. Nonostante le tante incertezze, la mossa europea ha dato un’accelerazione al tema del carbon pricing in contesti dove ancora non era in testa all’ordine del giorno (come nel commercio internazionale) e ha fatto entrare a pieno titolo i dazi sul carbonio nel panorama di rischi e opportunità legati alla transizione climatica. Dato che sempre più Paesi mettono in campo politiche sul clima, meccanismi come il Cbam entreranno progressivamente nel radar di governi e istituzioni (specie in assenza di una carbon tax globale). In un mondo interdipendente e interconnesso, il carbon pricing assume forme diverse ed è diventato un fattore che le aziende non possono che prepararsi a gestire, anticipare e – quando possibile – sfruttare. Per esempio con lo strumento di internal carbon pricing, di cui abbiamo parlato nelle precedenti puntate de “L’Età del Carbonio”.

Aurora D’Aprile (Carbonsink)

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