dura stretta sulla disclosure: sanzioni per società e persone

Niente governance? Multe da milioni

22 Feb 2016
Editoriali Companies & CSR Commenta Invia ad un amico
Il dlgs che elimina l'obbligo delle trimestrali nasconde una svolta anche più strutturale per la sostenibilità. La mancata trasparenza sulle procedure di buon governo può costare fino al 5% del fatturato. E, per le quotate, il codice di Borsa è già integrato con la Csr

L’EVENTO È STATO SPOSTATO AL 23 GIUGNO 2016

editoriale_blu_homeLa mancata di disclosure sulla buona governance diventa punibile per legge fino al 5% del fatturato. La novità, segnalata a ETicaNews da un attento lettore (manager della Csr), è passata piuttosto inosservata a livello di sistema mediatico, di fatto cancellata dal risalto dato ad altri spunti contenuti nel decreto legislativo approvato, in esame definitivo, dal consiglio dei Ministri dello scorso 11 febbraio, di attuazione della Direttiva Ue 2013/50 (vedi il comunicato stampa).

TRIMESTRALI ADDIO

Tale provvedimento, riguardante l’armonizzazione degli obblighi di trasparenza in merito alle informazioni sugli emittenti, ha ricevuto attenzione principalmente per un altro aspetto, anche quello inerente la sostenibilità, ossia l’abolizione dell’obbligo delle trimestrali. Attesa come un passaggio chiave contro lo shortermismo, contro cui si stanno muovendo investitori e sistemi finanziari internazionali, l’abolizione diventa realtà anche per Piazza Affari in coerenza con la modifica all’articolo 154-ter del Tuf (Testo unico della finanza), in particolare «sostituendo il comma 5 e inserendo il nuovo comma 5-bis – si legge nella Relazione di accompagnamento dell’atto in Parlamento (pagina 5) – in quanto l’obbligo di presentare e pubblicare il resoconto trimestrale è stato abrogato dalla direttiva 2013/50/UE». Certo, si dovranno trovare altre strade per chiedere conto alle aziende (magari a talune aziende) di rendicontare a shareholder e stakeholder: «In luogo di tale obbligo e in linea con quanto previsto dalla legge di delegazione europea, viene ad essere previsto che la Consob abbia la facoltà di esercitare il potere previsto dalla Direttiva consistente nel prevedere obblighi di pubblicazione delle informazioni finanziarie periodiche, con una frequenza maggiore rispetto a quella annuale e semestrale». Ma il passaggio di cancellazione delle trimestrali resta comunque una svolta strutturale, motivata «negli assunti – si legge sempre nella Relazione – che la produzione di informazioni finanziarie con frequenza maggiore di quella semestrale, in talune circostanze, potrebbe disincentivare strategie di investimento orientate al lungo periodo».

IL VERO OBBLIGO DI GOVERNANCE

Questa “svolta”, tuttavia, ha di fatto nascosto un altro passaggio contenuto nel provvedimento, la cui portata non è da meno. Anzi, per certi versi il passaggio è anche più impattante, andando a riguardare i codici di governance delle aziende, e le persone responsabili degli stessi. Si tratta (vedi a pagina 15 della Tabella di concordanza della Relazione), della modifica dell’articolo 192-bis del Tuf, il cui «comma 1 è sostituito dal seguente: “1. Salvo che  Il fatto costituisca reato, nei confronti delle società quotate nei mercati regolamentati che omettono le comunicazioni prescritte dall’articolo 123-bis, comma 2, lettera a), si applicano le seguenti misure e sanzioni amministrative: a) una dichiarazione pubblica indicante la persona giuridica responsabile della violazione e la natura della stessa; b) un ordine di eliminare le infrazioni contestate, con eventuale indicazione delle misure da adottare e del termine per l’adempimento, e di astenersi dal ripeterle, quando le infrazioni stesse siano connotate da scarsa offensività o pericolosità; c) una sanzione amministrativa pecuniaria da euro diecimila a euro dieci milioni, ovvero, se superiore, fino al cinque per cento del fatturato complessivo annuo.”».

Il punto chiave è il riferimento all’articolo 123-bis, comma 2, lettera a), il quale recita (vedi il Tuf): «Nella medesima sezione della relazione sulla gestione di cui al comma 1 sono riportate le informazioni riguardanti: a) l’adesione ad un codice di comportamento in materia di governo societario promosso da società di gestione di mercati regolamentati o da associazioni di categoria, motivando le ragioni dell’eventuale mancata adesione ad una o più disposizioni, nonché le pratiche di governo societario effettivamente applicate dalla società al di là degli obblighi previsti dalle norme legislative o regolamentari. La società indica altresì dove il codice di comportamento in materia governo societario al quale aderisce è accessibile al pubblico».

Questa combinazione di articoli e commi impone una completa disclosure delle pratiche di governance di una società quotata. L’obbligo, nei fatti, esisteva anche precedentemente. Ma la nuova norma lo rende coattivo poiché quantifica le sanzioni. Prendendo di mira sia le responsabilità della società (con una multa fino al 5% del fatturato complessivo) sia quella delle persone. Oltre all’individuazione dei responsabili, infatti, la modifica normativa del 192-bis prevede che agli stessi vengano applicate una serie di sanzioni, tra cui un’ammenda pecuniaria da 10mila euro a 2 milioni.

È un passaggio enorme rispetto al principio del “comply or explain” (cioè, spiega perché non hai adottato) che ha finora improntato questo genere di vincoli.

STRADA APERTA ALL’INTEGRATED GOVERNANCE

Vale poi la pena di evidenziare che questa stretta sanzionatoria va nella direzione di una governance integrata, intesa quale modello di gestione capace di “integrare” le pratiche di sostenibilità e di lungo periodo. Il “maggior” obbligo di disclosure delle pratiche di buon governo societario adottate richiederà una maggiore riflessione sui modelli di governance da parte delle aziende. Il punto di riferimento odierno, per le società di Piazza Affari, è il Codice di autodisciplina, redatto dal Comitato per la corporate governance presieduto da Gabriele Galateri di Genola. L’ultimo aggiornamento, nel luglio scorso, ha aperto la strada alla sostenibilità, rendendo la Csr un fattore di buon governo dell’azienda.

La sostenibilità, insomma, non potrà più essere snobbata dalla governance. E i codici di governance non potranno più essere snobbati dalle società.

È una svolta nascosta nel Tuf. Ma ad alto potenziale.

 

 

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