Greenpeace, “insostenibile” produzione dei chip per l’IA
Nell’ultimo anno, secondo un rapporto di Greenpeace, il consumo di elettricità e le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione globale di chip utilizzati nei datacenter per l’Intelligenza artificiale sono aumentati rispettivamente del 351 e del 357 per cento. La produzione di questi componenti è concentrata in Corea del Sud, Giappone e Taiwan, Paesi in cui i combustibili fossili rappresentano ancora la maggioranza del mix energetico. Greenpeace prevede che entro il 2030 la domanda globale di elettricità per i chip dell’IA crescerà fino a 170 volte rispetto ai livelli del 2023, superando l’intero consumo elettrico dell’Irlanda.
Alex de Vries, fondatore della piattaforma Digiconomist e tra gli autori del rapporto, sottolinea «come l’attenzione globale sia focalizzata sul consumo energetico dei data center, trascurando l’impatto ambientale della produzione dei chip stessi».
Il documento evidenzia, inoltre, come le aziende leader del settore, Nvidia e Amd su tutte, stiano traendo enormi profitti dal boom dell’IA, senza però affrontare adeguatamente l’impatto ambientale della loro catena di approvvigionamento. Per soddisfare il crescente fabbisogno energetico, Corea del Sud e Taiwan stanno investendo in nuove centrali a gas naturale liquefatto, presentate dai governi come soluzioni climaticamente neutre, ma che in realtà non sganciano i due Paesi dai combustibili fossili.
L’organizzazione ambientalista esorta le società produttrici di chip ad utilizzare esclusivamente energia da fonti rinnovabili entro il 2030 in tutte le fasi della loro filiera. Tra le soluzioni proposte per contenere l’impatto ambientale del boom dell’IA vi sono gli investimenti diretti in energia solare ed eolica, stipula di contratti di acquisto di energia rinnovabile e l’utilizzo della loro influenza per accelerare la transizione energetica nei Paesi produttori.
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