analisi del Boston Consulting Group

La Carbon Border Tax è già alle porte

28 Ott 2020
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Secondo gli autori, una tassa sui beni importati che rifletta la quantità di emissioni di Co2 attribuite alla loro produzione è solo una questione di "quando" per molti Paesi, Ue e Uk in testa. E spronano le aziende a iniziare già a monitorare e ridurre la loro impronta

«Sempre più Paesi, Unione Europea in testa, stanno pensando di introdurre una Carbon Border Tax sulle importazioni per raggiungere gli ambizioni obiettivi che si sono imposti per contrastare il cambiamento climatico. Le aziende, perciò, dovranno diventare sempre più responsabili della loro impronta di carbonio e adottare il prima possibile un approccio proattivo nel misurare e mitigare la loro Co2». Lo scrivono Bas Sudmeijer e Tim Figures del Boston Consulting Group, in una opinion pubblicata su BusinessGreen, dal titolo “An EU Carbon Border Tax – what might it mean for world trade?”.

Gli autori delineano il quadro dei Paesi che sostengono questo tipo di politica commerciale per ridurre le emissioni di gas serra. È noto che Bruxelles sta valutando di imporre entro il 2023 una tassa sui beni importati che rifletterebbe la quantità di emissioni di anidride carbonica attribuite alla loro produzione. L’Ue, infatti, si è data l’obiettivo di ridurre le sue emissioni del 55% nel prossimo decennio. Resta l’incognita, spiegano gli analisti del Boston Consulting Group, di come si comporteranno gli altri Paesi, soprattutto quelli che hanno flussi commerciali significativi con i 27 membri dell’Unione.

Joe Biden, il candidato alla presidenza del Partito Democratico, si è mostrato interessato a sostenere un programma simile negli Stati Uniti in caso di vittoria. Il Regno Unito si è posto addirittura obiettivi giuridicamente vincolanti più severi rispetto all’Ue, tra i quali anche il target “net zero” entro il 2050. I Paesi in via di sviluppo, invece, solitamente si oppongono a queste tasse argomentando che sono in contrasto con il principio, sancito dall’Accordo di Parigi, delle “responsabilità comuni ma differenziate” e anche con le regole dell’Organizzazione mondiale del commercio.

La questione delle esenzioni

Ma l’incognita più pressante per le aziende è legata alle possibili esenzioni. Da una parte, infatti, Bruxelles teme che i Paesi esenti dalla tassa vengano utilizzati come “porta di servizio” per far entrare in Europa prodotti senza pagare interamente i costi del carbonio della loro produzione. Dall’altra, però, per alcuni “Paesi terzi” allineati con le politiche europee, come il Regno Unito, potrebbe essere più facile a negoziare un’esenzione.

La posta in gioco per le imprese coinvolte è alta, soprattutto in alcuni settori come automobili, acciaio, prodotti chimici e aerospaziale. Se i Paesi non potranno garantire che i loro beni siano esenti dalla futura Carbon Border Tax, spiegano Sudmeijer e Figures, le industrie con un’elevata impronta di gas serra subirebbero uno svantaggio di costi significativo in uno dei loro più grandi mercati di esportazione. Gli autori citano come esempio una recente analisi del Boston Consulting Group che mostra che, agli attuali prezzi del carbonio, per un’automobile familiare compatta importata nell’Unione la tassa ammonterebbe a oltre 200 euro e salirebbe a oltre 400 entro il 2025.

Il sollecito alle aziende britanniche

A prescindere dal tipo di tassa che verrà adottata e dalle eventuali esenzioni, gli autori dell’opinion sono convinti della serietà dell’impegno dell’Ue e del Regno Unito nell’intraprendere un’azione decisa contro il cambiamento climatico, e che quindi la Carbon Border Tax non sia più una questione di “se”, ma di “quando”. Per questo motivo, il Boston Consulting Group sprona le aziende britanniche a essere proattive e a iniziare ad attrezzarsi oggi per ridurre l’impronta di gas serra sia delle proprie operazioni che dell’intera catena del valore globale, per non farsi trovare impreparate domani.

In particolare, ritiene che le aziende debbano adottare quattro passaggi: misurare la loro impronta di carbonio e quella dell’intera catena di fornitura e migliorare la capacità di reporting; adottare la tariffazione interna del carbonio; sviluppare una serie di opzioni e punti trigger man mano che questo tipo di programmi si avvicina all’implementazione; lavorare con i governi per definire i tempi e le modalità operative del sistema.

Alessia Albertin

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