Dpam al traguardo dei 10 anni in Italia, verso 2 mld aum Esg

3 Lug 2023
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Dpam taglia il traguardo dei 10 anni in Italia all’insegna della finanza sostenibile, e avvicinandosi alla soglia dei 2 miliardi di aum. Il gruppo belga ha avviato la propria attività italiana nel 2013, con la volontà di costruire un’attività solida e duratura intorno alle esigenze dei clienti, e una squadra che oggi conta sei professionisti

L’Italia, appunto, vale quasi 2 miliardi di euro di patrimonio in gestione e in advisory per Dpam: poco più del 50% da parte di clientela istituzionale con la parte rimanente quasi equamente divisa tra fund buyers e distributori di fondi a marchio Dpam. «Le scelte dei nostri clienti e collocatori – ha sottolineato Alessandro Fonzi, Deputy Head of International Sales, Country Head Italy – premiano l’attenzione che Dpam presta da sempre alle tematiche Esg: quasi il 100% dei fondi, che sono circa i 2/3 della nostra attività in Italia, è art. 8 o art. 9 ai sensi della normativa Sfdr. Queste scelte sono state sempre dettate dalla performance. Ma la dimensione della sostenibilità ha permesso a tutti noi di navigare con successo in anni di sfide ambientali e sociali importanti e potrebbe continuare a farlo in futuro, a fronte dei cambiamenti geopolitici in atto».

In merito a tali cambiamenti, il traguardo dei dieci anni è stata l’occasione per ascoltare a Milano Yves Ceelen, cio Global Balanced and Head of Institutional Mandates di Dpam. Il quale ha spiegato che, terminata la Guerra Fredda, il mondo è stato dominato dagli Stati Uniti che hanno dato vita a un ordine globale unipolare. Tuttavia, i cambiamenti nella geopolitica stanno mettendo in discussione questa dinamica, spingendoci verso un mondo più multipolare. Questo aspetto geopolitico sta rimodellando la scacchiera internazionale, in gran parte immutata dagli accordi di Bretton Woods. Questo cambiamento avrà un impatto significativo sulle future tendenze degli investimenti, sul dollaro, sul mercato dei titoli di Stato e sulle materie prime. Nessun attore del mercato sarà immune a questa evoluzione che offre opportunità per alcune regioni, economie e settori.

«Durante l’era unipolare – ha spiegato Ceelen – nonostante alcuni conflitti isolati, le principali nazioni hanno mantenuto una pace quantomeno apparente. Ma il nuovo ordine mondiale punta al riconoscimento dei singoli Paesi sulla base delle dimensioni della popolazione e sulle capacità economiche, ritenute trascurate da istituzioni post-1945 come il G7 e il G20. All’orizzonte non c’è un mondo bipolare, ma multipolare: Paesi come l’India, l’Arabia Saudita, il Sudafrica e Singapore non sono più disposti a limitarsi a seguire la linea dettata da altri, ma preferiscono agire in base ai propri interessi nazionali».

In questo senso va letta anche l’evoluzione economica mondiale da un modello incentrato sugli Stati Uniti a uno incentrato sulla Cina, un’evoluzione avvenuta in soli due decenni. La Cina sembra essere alla guida della nuova era della globalizzazione, promuovendo alleanze con le nazioni sino ad ora ai margini attraverso iniziative come Belt & Road, Brics+ (coniata da Jim O’Neill di Goldman Sachs nel 2001) e l’Organizzazione per la Cooperazione di Shanghai.

I risarcimenti legati ai cambiamenti climatici sono una possibile forma di manifestazione di questo nuovo equilibrio, che mette in luce la responsabilità delle nazioni industrializzate occidentali per la loro quota significativa nelle emissioni storiche.

Un altro aspetto affrontato da Ceelen riguarda la ipotizzata fine del dollaro-centrismo. Sebbene il ruolo dominante della valuta Usa nel commercio globale possa diminuire ulteriormente, è importante ricordare che si tratta di una transizione continua, non di un crollo improvviso. Visto l’uso del dollaro Usa (e dell’euro dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia) alla stregua di un’arma, gli altri Paesi trattano sempre più direttamente, lasciando al “biglietto verde” una quota minore negli scambi commerciali. Tuttavia, non va dimenticato che il dollaro costituisce ancora circa il 70% del debito mondiale: molte nazioni emergenti hanno ancora obblighi finanziari in valuta americana.

 

 

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