ET.INTERVISTA 275/ Giovanna Melandri, presidente di SIA

Melandri: «Superata la barriera tra Esg e impact»

1 Giu 2023
Interviste ESG Governance Commenta Invia ad un amico
Alla guida di Social Impact Agenda per l’Italia, Melandri chiarisce quanto la sfida impatto sia oggi centrale. Elemento chiave è la prospettiva della doppia materialità. «La rilevanza dei fattori Esg non si limita alla performance economica aziendale, ma anche agli impatti che le attività economiche hanno sui fattori Esg»

L’impact si trasformerà in Esg? Parte volentieri da questa provocazione Giovanna Melandri, presidente di SIA – Social Impact Agenda per l’Italia, in questa ampia intervista rilasciata in esclusiva a ETicaNews, nella quale propone diversi spunti controcorrente (cioè, coraggiosi). Melandri, tra le figure più rappresentative del percorso italiano verso la sostenibilità, anche per gli incarichi istituzionali ricoperti in questo ambito, riprende e analizza il messaggio dell’intervista pubblicata la scorsa settimana a Ronald Cohen (vedi articolo Sir Ronald Cohen: «Così l’Esg diventerà impact investing»). Il tema è diventato centrale: la ricerca, l’individuazione e la valorizzazione degli impatti sta allineando il mondo corporate con quello della finanza. Certo, «esiste ancora parecchia confusione sull’uso del termine impact investing», ammette Melandri. Ma la prospettiva è quella di fare cultura e favorire la chiarezza. Nonché una «ibridazione» che, sul fronte impresa, permetta una «minore rilevanza alle categorie che distinguono tra profit e non-profit». E anche sul totem degli Sdg, serve giudizio: sono una «cornice istituzionale fondamentale», ma attenzione a «tre rischi o tentazioni». La chiave di tutto? La doppia materialità, perché riconnette gli Esg all’impatto e viceversa.

Dunque, si può dire che l’impact si trasformerà in Esg?
È una bella provocazione! In Social Impact Agenda per l’Italia insieme a tanti partner e soci che hanno particolare expertise nell’ambito della sostenibilità e dell’impatto, tra cui anche Human Foundation, stiamo lavorando affinché i principi dell’impact investing siano fatti propri dalla finanza Esg e quella convenzionale. Ma sono d’accordo che non dobbiamo guardare a Esg e impact investing in contrapposizione, bensì in un continuum dove l’impact investing richiede intenzionalità, misurabilità e addizionalità dell’impatto. D’altra parte, l’obiettivo di lungo termine è che queste categorie non siano più necessarie, poiché tutta la finanza assumerà le variabili di rendimento, rischio e impatto nei propri processi decisionali.

Crede che sia definitivamente superato l’equivoco della barriera tra Esg, che è un sistema di valutazione, e l’impact investing, che è un approccio di investimento?
Penso di sì. L’Esg ha ormai piena dignità in qualità di approccio di investimento, ma occorre ancora fare chiarezza rispetto ad alcuni principi che sottendono le pratiche di valutazione, in particolare quello della materialità. Assumere un approccio singolo o doppio di materialità ha delle implicazioni fondamentali non solo in termini di scoring ma soprattutto di strategia.

C’è stata una certa confusione nell’uso del termine impact investing, che spesso è stato abusato (utilizzato in modo improprio) da chi faceva investimenti sostenibili. Ritiene che la confusione si stia riducendo?
Esiste ancora questa confusione. Ed è per questo che SIA svolge un’attività culturale verso tutti gli attori dell’ecosistema nazionale e internazionale per spiegare in maniera chiara e semplice cos’è la finanza a impatto, quali sono le caratteristiche fondamentali e come la si realizza. Attraverso un recente progetto in collaborazione con Banca d’Italia abbiamo evidenziato proprio esempi e modelli di business e strumenti finanziari a impatto.

Sul fronte corporate, invece, non c’è stata confusione, ma, semmai, una distinzione forse anche troppo netta: ha senso, in prospettiva, una distinzione tra “impresa” e “impresa sociale”? Quale sarà la distinzione? Dove porterà la cosiddetta ibridazione?
Ripeto, ad oggi, abbiamo bisogno di alcune categorie che ci aiutino a comprendere i business e a distinguere quelli che integrano strategicamente l’impatto, positivo e negativo, nella governance e nelle decisioni aziendali, e quelli che invece non modificano i propri modelli e si limitano ad azioni meritevoli di CSR più o meno evoluta. Spero che l’ibridazione si approfondisca, anche numericamente, sono ancora troppo poche le aziende veramente ibride. Al crescere dell’ibridazione queste categorie che distinguono tra profit e non-profit assumeranno meno rilevanza.

Quale aspetto ritiene oggi più utile a chiarire la distinzione tra investimento sostenibile e investimento a impatto? E quale aspetto è oggi il principale canale tra questi due mondi?
Il vero trigger è l’addizionalità dell’impatto, che non solo implica la minimizzazione degli impatti negativi ma anche un’intenzionalità nel produrre impatti positivi, gestendoli in un’ottica di massimizzazione. Mentre il legame tra questi mondi è la misurazione dell’impatto, assumendo la prospettiva della doppia materialità. La rilevanza dei fattori Esg non si limita alla performance economica aziendale, ma anche agli impatti che le attività economiche hanno sui fattori Esg. Mi sento quindi in sintonia con l’approccio dell’Efrag.

Qual è il ruolo del regolatore nella spinta all’inclusione dell’impact negli Esg?
Per l’appunto, definire regole del gioco chiare, sfidanti e realistiche. Oltre alle regole, occorre un supporto allo sviluppo di una cultura nuova della sostenibilità, di competenze e strumenti operativi. Infine, è fondamentale un sistema di controllo e incentivo per assicurare che le pratiche di sostenibilità e impatto siano autentiche.

Cohen, nell’articolo della scorsa settimana, fa riferimento ai General Acepted Impact Principles e indica una leadership europea. Però si connette principalmente al sistema di standard Usa (Issb), e non menziona i grandi sforzi di Efrag (l’autorità degli standard europei) che sta già imponendo la valutazione degli impatti nella rendicontazione delle imprese.
L’attività di Efrag è fondamentale, non solo per l’assunzione di un approccio di doppia materialità, ma anche per il grande di lavoro di definizione degli Esrs sia generali sia settoriali che aiuteranno le aziende a meglio identificare e misurare gli impatti e le metriche. Inoltre, con la messa a regime della Csrd avremo un quadro più completo dell’architettura disegnata dalla Commissione Europea, congiungendosi con Sfdr e Tassonomia. Si stanno facendo progressi nell’armonizzazione tra Issb e standard Efrag, questi ultimi rappresentano una posizione di avanguardia a livello globale, avendo assunto la doppia materialità alla base del sistema europeo.

Conta più la spinta della finanza (e i nuovi obblighi di trasparenza sui Principal adverse impact del Sfdr) o conta più la spinta delle aziende (e i nuovi obblighi imposti da Csrd ed Efrag)?
Entrambi sono essenziali, dal nostro punto di osservazione vediamo il settore finanziario attivo nell’adozione di principi e pratiche di sostenibilità, sviluppando strategie e processi ad hoc che fino a 5 anni fa apparivano impensabili. In realtà, il ruolo delle aziende è parimenti importante, e spero che oltre agli obblighi della regolamentazione le aziende, anche quelle piccole e medie, colgano le opportunità di una strategia di sostenibilità.

Cosa ne pensa del ruolo degli Sdg? Hanno probabilmente favorito la diffusione della comprensione dell’impact, ma non rischiano di essere troppo semplificanti?
Gli Sdg forniscono una cornice istituzionale a livello internazionale fondamentale. A mio avviso dovremmo evitare 3 rischi o tentazioni:

  1. Guardarli singolarmente come se fossero solo una lista di obiettivi, target e sotto target, invece che guardarli in maniera sistemica, osservando come il raggiungimento di un obiettivo contribuisce a quello di altri. Su questo da molti anni lavoriamo con Human Foundation.
  2. Giudicarli per quello che non sono, ovvero gli Sdg non sono la soluzione a tutti i problemi ma nel loro insieme supportano un’agenda politica come base comune per creare una comunità internazionale sostenibile. Quindi gli Sdg e relativi target ci orientano rispetto alla direzione e velocità di marcia verso una società più sostenibile a livello globale e nazionale. È possibile che ci siano delle semplificazioni, e per questo è ancora più importante la misurazione dell’impatto (meglio degli impatti positivi e negativi).
  3. Interpretare gli Sdg solo come metriche, quando invece una loro reale e profonda adozione richiede trasformazioni nelle organizzazioni in termini di strategia, management e governance. In questo senso, Undp ha sviluppato delle utili linee guida, chiamati Ssg impact standards, indirizzate a investitori, finanziatori e aziende, molto utili.

Gli Sdg stanno avendo un ruolo importante nella mobilitazione di maggiori risorse finanziarie private da impiegare attorno alle sfide dell’agenda 2030, e questo è un elemento di accelerazione importante per l’impact investing.

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