Esg Business Conference, la seconda plenaria

Gli Esg nella finanza di Hera e Intesa

27 Giu 2019
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L’area dedicata agli investimenti Esg si rivela un aspetto ancora debole. I casi di un’azienda e un istituto che hanno emesso un green bond sono stati l’occasione per discutere dell’evoluzione del settore

Il legame tra azienda e investitori responsabili sconta ancora un certo ritardo. E l’area Finanza dell’Integrated governance index (Igi) 2019, da quest’anno integrata nell’area di analisi ordinaria, si rivela un ambito ancora complesso per le aziende. La riflessione sullo studio, sviluppato da ETicaNews con l’obiettivo di individuare «il gruppo di aziende “engaged” sul governo degli Esg», si è tenuta lo scorso 13 giugno, a Palazzo Giureconsulti a Milano, nel corso della seconda (e ultima) plenaria dell’Esg Business conference. Dal report è emerso che è aumentata la quota delle società ha formalmente individuato al proprio interno una figura o un team dedicato alle relazioni con gli investitori responsabili  (l’83% contro il 73% del 2018). Mentre resta stabile la percentuale di aziende che non hanno ancora emesso strumenti di finanza responsabile (l’87%) cui si somma un 65% di aziende che non valuta, a oggi, l’opzione. Tra quanti, invece, hanno già aderito o hanno intenzione di emettere strumenti di finanza responsabile i green bond sono sul primo gradino del podio. Protagoniste della tavola rotonda sviluppata sulla ricerca, due aziende di Igi 2019, Hera (presente anche nella Top10 Igi) e Intesa Sanpaolo, entrambe nella Top3 finanza, che hanno discusso di come la finanza dia valore agli Esg insieme a Riccardo Baraldi del Consiglio direttivo Andaf (Associazione nazionale direttori amministrativi e finanziari), Renato Panichi, senior director, Corporate Ratings  di S&P Global Ratings, e Gerd C. Pircher, ceo Italy di Hsbc.

I CROMOSOMI DELL’AZIENDA

Nata dalla aggregazione di società minucipalizzate, Hera «mantiene una cultura pubblica per il rapporto con il territorio, e privata per le logiche di governance interna e di gestione», ha dichiarato Luca Moroni, direttore centrale amministrazione, finanza e controllo della società.  È appunto questa origine ad aver fatto crescere gli elementi legati alla sostenibilità che Moroni ha definito «cromoscomi dell’organismo aziendale». Il primo report di sostenibilità, «che risale al 2003/2004», e una cultura che coinvolge tutti i vertici dell’azienda, sono state le basi di un’evoluzione naturale della parte finanziaria. «Quando sul mercato si sono affacciati i primi strumenti green, partiti in Europa in Paesi un po’ più sensibili (come la Francia) abbiamo colto la sfida e ci siamo messi a lavorare sulla possibilità di fare un green bond». Da qui la creazione della prima obbligazione corporate per una società italiana, nel 2014. «Un anno fa, poi, si è presentata l’opportunità di finanziare la prima revolving sostenibile in Italia».

Al tavolo di discussione di Igi, anche un altro primato, quello di Intesa Sanpaolo, prima banca italiana ad aver emesso un’obbligazione verde, nel 2017, che è andata a finanziare principalmente progetti infrastrutturali di efficientamento energetico. «Abbiamo calcolato che in un anno i circa 70 progetti finanziati permettono di risparmiare intorno alle 813mila tonnellate di CO2», ha affermato Francesca Lolli, responsabile dell’Ufficio rapporti con investitori socialmente reponsabili e Climate Change, che si è ricollegata alla questione dell’opportunità di emettere tali strumenti. Ma ne ha anche individuato alcuni limiti. «È vero che in alcuni casi ci può essere una sottile convenienza finanziaria nell’emissione di un green bond rispetto a uno tradizionale, ma non sempre è così. Dipende dall’emittente e dal contesto del mercato di riferimento». A questo di sommano altri paletti, «richiedono una second part opionion, determinati Kpi, un aggiornamento annuale che deve essere validato da una controparte esterna», ha commentato Lolli. Il mercato è ancora «innovativo» e questo determina, nonostante una convenienza economica «un’onerosità maggiore per l’emittente».

UN APPROCCIO OLISTICO

Il mercato è ancora giovane, dunque, e si confronta anche con una dimensione ridotta. Per contro, la riflessione di Pircher di Hsbc, è partita da un presupposto più allargato, alla luce anche della realtà globale in cui opera l’istituto, ossia che «il modello funziona solamente se c’è un approccio olistico alla sostenibilità». Pircher ha insistito sul ruolo delle aziende leader nei diversi settori. «Il concetto di Esg non può essere relegato soltanto alla discussione sulla emissione di titoli e investimenti, ma deve essere integrato nel business principale dell’azienda, nel suo approccio e nel suo engagement con la filiera. Esistono molte aziende italiane, soprattutto nel lusso e nell’alimentare, che sono leader globali nell’approccio olistico a questo settore». Si afferma, dunque, la questione dimensionale, dal momento che «se non ci sono leader, l’effetto sulle aziende più piccole non è rilevante». Un concetto comprovato dalle esperienze di grosse aziende a livello internazionale con cui Hsbc ha stretto un dialogo: «si tratta di puntare sul “green making», che altro non è se non il fronte opposto rispetto al pericolo del green washing.

E nell’individuazione degli emittenti, dal “lato finanza” in materia di Esg si arriva a determinare anche il merito di credito che, alla luce del cambiamento in atto, diventa più complesso, tanto che «alcuni fattori Esg sono diventati driver di azioni di rating», ha confermato Panichi di S&P.  L’invito a una maggiore trasparenza sulla tematica, ha continuato, arriva dai regulator «ma anche gli investitori hanno maggiori pretese in termini di disclosure». Da qui il presupposto per cui «oggi un’angenzia di rating non può non parlare di Esg». E la necessità di questa trasformazione si è tradotta, per S&P, nell’introduzione di una sezione di analisi Esg di una società nella definizione del suo rating. «Vorrei stressare i termini di “rischio” e “opportunità” – ha ribadito Panichi –, perché quest’ultimo concetto è determinante per le aziende proattive».

Ma la «curiosità per il numero», come sottolineato da Baraldi, rientra anche nell’azione di Andaf. «Noi siamo accanto al ceo per dargli la sicurezza che i numeri che vengono da vendite, produzione e marketing abbiano una contropartita sul bilancio aziendale», ha commentato. Baraldi ha confermato la consapevolezza Esg nell’ambito Cfo, «e noi la catechizziamo come associazione. Sia lato fornitori, sia con gli azionisti. C’è sicuramente una trasformazione anche nel nostro ambito ed è da tempo che, passando dal bilancio integrato, si è attivato il percorso».

Raffaela Ulgheri

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